di Nunzia Catena
Era l’estate caldissima del 1980 a Bologna, prima della bomba alla stazione, quando mi venne proposto un lavoro dalla direzione delle Cooperative Culturali E.R., che consisteva nell’andare ad intervistare alcuni personaggi che avevano un ruolo riconosciuto nel paesaggio culturale bolognese.
Tra le persone da intervistare c’era Gian Vittorio Baldi, il regista scomparso pochi giorni fa.
Gian Vittorio Baldi, per chi non ne fosse a conoscenza, è stato un produttore e regista caparbiamente indipendente, impegnato su temi sociali e politici, non a caso ha prodotto e diretto, tra decine di film e documentari, anche alcuni lavori di, e con, Pasolini. E mi fermo qui per quanto attiene la sua presentazione artistica.
Cominciai quel lavoro. Ero davvero molto giovane, molto impacciata, timida al limite dell’aggressivo, come quasi tutte le ragazze che arrivavano dal sud – allora così arretrato nella cultura femminile – in una città sconosciuta, in cui quasi tutto per me era difficile e oscuro. Sarà stato per questo che, quando entrai nello studio dell’abitazione di Gian Vittorio Baldi, anche se tutto era stato preparato dal mio ufficio per dare una certa formalità e scorrevolezza all’intervista, e lo trovai in penombra, quasi al buio, dietro una scrivania con i libri che stratificavano l’intera stanza, mi sembrò “un uomo grande e minaccioso”.
Balbettai nel presentarmi, balbettai nel porre la prima domanda (le domande erano state predisposte da altri, dovevo solo registrare le risposte). A quel punto lui mi guardò, o meglio mi squadrò, disse: “lascia perdere, parliamo di qualcosa, poi continuiamo”. In pratica mi tranquillizzò. Iniziò così un lungo discorso sulle origini, sul sud, sulla bellezza delle immagini, la politica, e tanto, tanto altro che non ricordo più. Sembrava sapesse di ogni cosa. Sicuramente mi parlò delle inquadrature e dei primi piani nei film, e dell’importanza della fotografia, questo lo ricordo bene, perché ne restai affascinata.
Soprattutto ricordo che mi incoraggiò a dire la mia opinione su tutto ; non era scontato che un uomo di quell’età mi chiedesse la mia opinione. Non è facile che accada ancora adesso. Rimasi lì non so quanto, alla fine feci anche quelle benedette domande, credo che ci mettemmo non più di dieci, quindici minuti per l’intervista. In effetti era un lavoretto estivo per studenti. Poi si alzò mentre andavo via, mi fermò, andò alla libreria e prese quattro libri: erano sue sceneggiature di film tutte inserite nella collana intitolata “La Macchina da Presa di Coscienza” e me li regalò.
“Guarda che i miei libri non li do a tutti, e sappi che che hai un bellissimo sorriso da primo piano”. Ultime parole mentre mi congedava. Non era un complimento fisico, in realtà mi fu chiaro che il suo modo di salutarmi era il più grande incoraggiamento potessi avere a sorridere, a farmi forza ; era una vera pacca sulla spalla senza le mani, un poderoso abbraccio intellettuale. Uscii da quell’incontro che ero in un certo senso cambiata, in poco tempo quel signore, così serio, mi aveva fatto intravedere la mia personale “presa di coscienza” di pezzi della vita.
Ho ricordato spesso quella manciata di minuti insieme e quanta importanza hanno avuto su di me; mi rammarico solo di non aver più cercato Gian Vittorio Baldi per dirglielo. Ma i suoi libri sono e saranno sempre in bella vista nella mia libreria, al posto d’onore.