Domani, 13 marzo, alle 18.30, ci sarà a Bologna la presentazione del libro Il mese più lungo di Gabriele Polo, organizzata dall’Associazione Il manifesto in rete. Dopo la recensione scritta da Sergio Caserta, ecco la prefazione, firmata dalla moglie di Nicola Calipari, l’uomo che liberò la giornalista del Manifesto Giuliana Sgrena e che fu ucciso subito dopo.
di Rosa Villecco Calipari
«Il prossimo 4 marzo saranno dieci anni, Rosa. Vorrei scrivere di Nicola e di quel mese, del nostro incontro…». Così Gabriele Polo mi chiese di poter raccontare, mettere insieme i pezzi di un puzzle che, comunque li giri, devi forzare per farli combaciare. Quasi una necessità. Per lui, Nicola, per ricordare, ma anche per Gabriele, per elaborare quel lungo mese di febbraio 2005.
Gabriele, conosciuto la sera in cui, nella nostra casa piena di amici, conoscenti e curiosi accorsi alla notizia che Nicola era morto dopo la liberazione di Giuliana Sgrena, mi fu presentato da qualcuno del Sismi – «Il direttore del “manifesto” vorrebbe salutarti» – e io, stringendo la mano che mi porgeva, sotto choc e sotto sedativi, lo ammonivo dicendo che la salvezza di Giuliana non era il risultato di un governo, di qualunque segno fosse, ma di un uomo che aveva fatto quello che credeva fortemente fosse suo dovere fare.
Ci rivedemmo spesso negli anni successivi. Gabriele e sua moglie, Giovanna, mi sostennero con amicizia e affetto durante il «falso» processo contro il soldato Lozano, l’ispano-americano che dal disvelato rapporto statunitense risultò essere l’unico incriminabile di omicidio. In questi dieci anni sono diventati amici di famiglia, mentre altri sono scomparsi. Gabriele Polo ha il coraggio di narrare senza prudenze, senza ammantarsi di retorica, senza «reti di salvataggio ideologiche». Gabriele scrive laicamente.
L’incontro con Nicola, tra due persone che forse non comunicano ancora ma che «hanno imparato ad ascoltarsi», è il fulcro del libro. Due uomini apparentemente lontani, chiusi in mondi culturalmente diversi, con una visione della realtà e un agirvi diametralmente opposti, che per una tragica vicenda – il sequestro della giornalista del «manifesto» in quell’inferno che era l’Iraq dopo l’intervento militare del 2003 – sono obbligati a conoscersi e a condividere, fidandosi l’uno dell’altro, passaggi delicatissimi di una trattativa che ha come oggetto la vita di un essere umano.
Cadono barriere, pregiudizi e diffidenze tra il dirigente dei Servizi e il direttore del «quotidiano comunista». Nicola e Gabriele sono meno distanti di quanto si possa pensare: sobri, riservati, taciturni, entrambi portati naturalmente dai loro rispettivi lavori a guardare la realtà con razionalità, cercando di tenere sotto controllo le emozioni, senza però evitarle. Due uomini privi di cinismo, che amano il loro lavoro, anzi, che ne hanno fatto una ragione di vita.
Si accosteranno l’uno all’altro nel «mese più lungo» e si comprenderanno. Ma sarà soltanto in quell’atto finale ed estremo, in cui l’uno morirà per proteggere la vita che gli è stata affidata, che l’altro lo sentirà uguale e capirà. Il giorno dei funerali il direttore del «quotidiano comunista» titolerà il suo giornale Uno di noi. Ovviamente il libro non è solo l’incontro tra Nicola Calipari e Gabriele Polo, ma il racconto sapiente, con stile secco e giornalistico, del contesto: quello iracheno – bande criminali, ex baathisti e truppe americane -; quello italiano – con un governo interventista accanto all’alleato statunitense sul piano militare, ma trattativista in caso di sequestri, senza una chiara posizione politica condivisa con gli Usa -; e quello interno al Sismi – una direzione ambigua che agiva machiavellicamente su due linee strategiche opposte e alla fine contrapposte, un gioco che costerà la vita a Nicola.
Ho letto Il mese più lungo tutto d’un fiato, astraendomi dal pensiero che quel febbraio 2005 ha travolto la mia vita e quella dei miei figli, ha segnato uno spartiacque tra il prima e il dopo. Ho controllato le emozioni, pur vivendole in linea con lo stile dell’autore. A Gabriele, a Giovanna e a tutti gli amici di «prima» e a quelli di «dopo», grazie.