di Marco Capponi
Non siamo all’attentato terroristico, su questo ha ragione Renzi, anche se la sinistra coincidenza con l’anniversario della strage di Natale mostra, speriamo, l’ignoranza e lo scarso senso della storia dei sabotatori. Un sabotaggio dunque, di quelli che entrano prepotentemente nella vita di tanta gente comune, facendole correre anche qualche rischio.
Per una causa giusta? Non so se davvero è quella della lotta contro l’alta velocità, causa sulla quale mi permetto il lusso di nutrire dubbi, non certo fugati dalle argomentazioni più ricorrenti. Ma giuste o sbagliate che siano le cause, certe azioni si giustificano solo in casi di assoluta emergenza e in regimi ferocemente totalitari. E non mi si venga a parlare del blocco autostradale di alcune ore, iniziativa forte ma palese, chiara, aperta alla discussione con chi ne era colpito, degli operai di Terni. Esattamente l’opposto di chi nell’ombra provoca disagio, paura in uomini donne, anziani, bambini ignari. Esattamente l’opposto di quello che penso debba essere democrazia.
La clandestinità è una cattivissima consigliera, se non si pensa di essere già al fascismo dispiegato e soprattutto non è concepibile la difesa di ogni interesse parziale, seppure legittimo, con ogni mezzo. Questa è una strada la cui pericolosità non può essere sottovalutata e che credo di sapere dove conduce, come si è visto. Conduce, bene che vada, anche alla lotta di tutti contro tutti per la difesa del proprio orticello.
Molti miei vicini pensano che il famoso campo dei miei amici nomadi di via Erbosa sia un pericolo per la loro sicurezza, la loro salute e quella dei loro figli ma, siccome le istituzioni hanno giustamente deciso, se lo tengono. Attenzione, esistono anche le cause sbagliate alle quali si possono applicare certi metodi, come ad esempio opporsi a una fabbrica che impiegasse molto stranieri un ridente paesino. E poi chissà: rigassificatori, passanti, termovalorizzatori, discariche, centrali a biomasse eccetera eccetera eccetera. Questa è la strada? Insomma, gradirei che anche tra i miei compagni si cogliessero queste preoccupazioni, soprattutto se si parla (come fa, autorevolmente taluno , di ripartite dal territorio, dai suoi conflitti e cita esplicitamente i no TAV).
In un mondo complesso e tecnologicamente dipendente, e quindi mai come prima fragile, la logica del sabotaggio può essere devastante. Si possono interrompere la distribuzione di elettricità e gas, impedire il trasporto di persone e merci, la fornitura di acqua, bloccare la comunicazione telematica. La vita di una società avanzata può essere sconvolta nei suoi aspetti fondamentali e le istituzioni preposte a regolarla essere travolte.
Il sabotaggio ha un senso logico solo in vista del crollo imminente di un sistema e l’instaurarsi di un potere nuovo, necessariamente autoritario, come la storia insegna. Certo, ma mica tanto. Vedo con stupore, come Caselli, una sottovalutazione grave di questa logica, di questa cultura, direi di questa psicologia. Indefessi e autorevoli difensori della carta costituzionale come Marco Revelli sono tiepidi, se non compiacenti, nei confronti di un movimento che, al di là di quanto si pensi sulla TAV, non si dissocia dalle sue frange più estreme.
In generale non si potrà mai fare nulla per l’interesse generale che leda qualche interesse locale e di gruppo? E non sto pensando alle deportazioni di interi popoli in URSS e in Cina. La difesa del proprio orticello e tutti i costi ( e ripeto che non sto parlando della Tav) deve essere un tratto fondativo della sinistra? Che vuol dire sbrigativamente “partire dai territori dai conflitti?”, quai conflitti? Con quali strumenti di lotta? Anche da quelli che oppongono i miei vicini “perbene ai nomadi” o gli abitanti di un ridente paesino alla fabbrica con operai nordafricani?
Con questo modello di democrazia vincono sempre i più forti, questa è una politica, una cultura e perfino una psicologia di destra, altro che partito di sinistra.