di Silvia R. Lolli
Una notizia su The Wall Street Journal del 1 agosto ci fa domandare: per quanto tempo ancora le manifestazioni sportive internazionali saranno svolte? La notizia: Adidas, sponsor ufficiale della nazionale tedesca vincitrice dei campionati del mondo di calcio in Brasile, dichiara un calo nel primo periodo dell’anno del 16%. mentre le spese aumentano del 2%, (193 milioni di dollari, l’utile operativo cala almeno del 13% a 220 milioni). L’Adidas è stato il primo sponsor della nazionale tedesca vincitrice del campionato.
Tra gli elementi citati nell’articolo di M. Houston-Warsch e di E. Erheriene, che spiegano la situazione debitoria di questa multinazionale dell’abbigliamento sportivo e del tempo libero, troviamo le sanzioni nei confronti della Russia, il cui mercato è uno dei più importanti per questa azienda.
Al di là però delle questioni puramente economiche e di politica internazionale che possono essere ininfluenti per il consumatore dello sport, il posto dell’Adidas lo prenderà un nuovo o vecchio marchio, in questa crisi economica possiamo chiederci per quanto ancora i produttori del settore sportivo potranno sostenere le spese crescenti (anche in termini di corruzione) che eventi mondiali, olimpici, oppure anche solo più territoriali, dei diversi sport comportano oggi. Questi grandi eventi sportivi sempre più spesso non danno introiti pari alle spese di sponsorizzazione, neppure per il paese ospitante, il cui comitato organizzatore finisce con debiti e spesso con impianti difficilmente utilizzabili dalla collettività.
A livello professionistico inoltre ci chiediamo per quanto il sistema sportivo potrà continuare ad offrire cifre da capogiro ai giocatori e a tutto lo staff delle società. I bilanci rimangono molte volte in rosso, a meno che non si tratti di alcune società dove miliardari russi, arabi investono senza occuparsi delle perdite ed il management è all’altezza di vere società di servizi.
In questo quadro internazionale l’Italia fa vedere la sua inadeguatezza organizzativa e tecnica e ovviamente anche politica. La crisi sta facendosi sentire anche nello sport e si avvertirà ancora di più nei prossimi mesi quando le sponsorizzazioni diminuiranno ancora, a meno che non avvenga la vendita delle società ad azionisti esteri come ad esempio è avvenuto per l’Inter. I bilanci devono conteggiare i contratti reali dei giocatori, non possono più, dalla sentenza Bosman, avere cifre fittizie per aumentare, con stime di valore dei giocatori, il loro patrimonio. Patrimonio comunque che a livello tecnico ci sembra poco all’altezza dei maggiori club internazionali.
I bilanci non potranno avere grosse cifre da recuperare con la vendita dei biglietti già in diminuzione da tempo e pensiamo che anche i diritti televisivi abbiano già raggiunto il massimo livello del loro valore, salvo per alcune, ma poche, partite. Il futuro per lo sport non può dirsi certo roseo. Si dovrebbero dunque trovare soluzioni diverse rispetto al passato. Lo stesso comunque accade nella nostra politica.
Nel nostro paese, il gattopardismo non fa nulla. Per esempio, invece che avere leghe professionistiche capaci di calmierare il sistema, imponendo per esempio come negli USA (vedi NBA) limiti d’ingaggio e intervenendo realmente nelle situazioni critiche come un vero controllore terzo, abbiamo assistito soltanto al “demenziale” dibattito sull’elezione del nuovo presidente della FIGC deciso dai grandi club del calcio che dovrebbero avere solo interessi in Lega. Si rivela il vero senso dello sport da noi: poteri politici anche se si è sempre propagandato uno sport estraneo alla politica.
Non è sufficiente pensare al solo ultimo ventennio berlusconiano. Perché ancora ci ostiniamo a mantenere un sistema sportivo legato ad un passato che non esiste più? È strano che gli interessi di società di serie A di calcio debbano essere tutelati votando un presidente di Federazione, che dovrebbe ancora sbandierare i valori del volontariato.
Decidere, da parte delle società professionistiche, che già devono votare il presidente della loro Lega, anche chi dovrà diventare il presidente della FIGC è semplicemente paradossale e osservare la comunicazione della stampa è stato appunto demenziale, visti i problemi economici e sociali. Una domanda che invece riteniamo fondamentale, non trova ancora risposta nel nostro sistema sportivo: come può una Lega professionistica sottostare alle regole di una Federazione sportiva?
Nessuno è in grado, anzi vuole, cimentarsi in questa risposta. Così si continuerà a pensare in modo vecchio allo sport professionistico; invece di avere un sistema capace di calmierare un mercato di professionisti e dilettanti che in Italia è già alla bolla speculativa nonostante i tanti giochi sui bilanci, vediamo i soliti noti candidarsi alla poltrona massima federale; alla fine ha vinto Tavecchio.
Strano che ancora una volta nella storia italiana allo sport non si chieda mai di cambiare veramente e si accettino ai massimi livelli solo politicanti di cui uno per giunta razzista. Quali potranno essere le riforme di un uomo già da tempo ai vertici di un’altra lega calcistica? Ci sembra piuttosto un eletto buono per il gioco delle solite poltrone. Basterebbe leggere i nomi che da anni si avvicendano fra presidenze delle maggiori federazioni sportive, lega calcio e segreteria Coni e alcune federazioni; sempre gli stessi nomi che si alternano da tantissimi anni: Pescante, Carraro, Abete…
La legge Melandri è stata subito ritrattata dal sottosegretario alla presidenza Berlusconi, cioè da Pescante e nel breve Governo Letta solo Josefa Idem si è dimessa quasi subito per un contenzioso quasi irrilevante rispetto alle abitudini di molti politici collusi. Non è che per caso avesse già pronta una proposta di legge sulla riforma dello sport? Altra domanda ci sovviene: oggi la politica renziana non sventola l’idea del cambiamento e della gioventù?