di Cinzia Sciuto
Da tempo volevo occuparmi della costruzione dell’immaginario dei bambini in riferimento agli stereotipi di genere. Come, cioè, i bambini passano dalla constatazione esperienziale dei due generi al loro ‘ingabbiamento’ in ruoli, compiti, aspettative che con la differenza di genere hanno ben poco a che fare. Il passaggio non è affatto naturale, anzi è proprio in quello snodo essenziale che si colloca il fondamentale ruolo ‘culturale’ di tutte le agenzie educative che hanno a che fare con i bambini, famiglia e scuola innanzitutto. Me ne sono già occupata in parte qui.
Oggi l’occasione mi viene da questo post di Liberelettere, un bellissimo blog dedicato ai libri per bambini, in cui Caterina Lazzari fa una distinzione che mi fa riflettere: “Ci sono libri per bambini privi di stereotipi e libri invece attivi contro gli stereotipi. (…) Titoli attivi nei confronti degli stereotipi sono quelli che si prefiggono di smontarli, sovvertirli, proporre modelli plurali ed alternativi, e promuovere la bellezza di essere se stessi”. Ecco, mi chiedo: non è che i libri “attivi” contro gli stereotipi rischiano di produrre effetti paradossalmente contrari agli intenti? Mi spiego: per poterlo smontare, lo stereotipo, questi libri lo tematizzano, lo mettono al centro della storia, dandogli un’importanza che forse non merita. Il dubbio è che questi libri non siano diretti ai bambini, che – soprattutto quando sono molto piccoli – gli stereotipi non sanno neanche cosa sono, ma siano una proiezione del conflitto che abita il mondo degli adulti. È agli adulti che andrebbero rivolti libri così, non certo ai bambini, specie a quelli più piccoli.
Ne ho fatto esperienza diretta con il libro – peraltro illustrato in maniera maginifica – C’è qualcosa di più noioso che essere una principessa rosa? (di Raquel Díaz Reguera, edizioni settenove), in cui fin dal titolo è chiaro l’intento: smontare lo stereotipo per cui il modello ideale per le bambine debba essere una principessa vestita di rosa che attende il suo principe azzurro. La protagonista è la figlia di un re, dunque tecnicamente una principessa, che però non ha nessuna voglia di vestire sempre di rosa e di aspettare il suo principe azzurro e che si chiede “perché non c’erano principesse che solcassero i mari in cerca di avventure o che liberassero i principi azzurri dalle fauci di un lupo feroce”.
Ecco, queste parole in un bimbo piccolo, cresciuto tentando con fatica di evitare gli stereotipi, suonano strane, prive di senso. Sono parole che – per essere comprese – implicano l’aver introiettato uno stereotipo che nella maggior parte dei bambini piccoli non ha avuto ancora modo di formarsi. Non c’è una storia, nel libro, ci sono ragionamenti, riflessioni su uno stereotipo, che però riguarda molto più gli adulti che i bambini.
Nei bambini gli stereotipi non vanno “smontati”, vanno prevenuti. E per farlo forse quello che servono sono libri (e per fortuna ce ne sono tanti, nel blog Liberelettere ne trovate a bizzeffe) privi di stereotipi, in cui venga rappresentato il caleidoscopico mondo dell’infanzia, in cui i bambini e le bambine esprimono semplicemente se stessi.
Questo articolo è stato pubblicato su Micromega online l’11 giugno 2014