di Paolo De Gregorio
Nelle fantasiose e improbabili ricette per evitare che in futuro la nostra nazionale di calcio faccia meschine figure, almeno per quello che ne so io, non c’è nulla che possa davvero risolvere il problema. Come al solito è impossibile mischiare etica e denaro, soprattutto quando il denaro è un valore assoluto e la maglia, anche delle squadre in cui si gioca, può cambiare per esigenze di mercato, e questa ideologia del mercato di carne da pallone si estende anche alla propria nazionale.
Pretendere amor di patria da miliardari bolliti dai troppi impegni agonistici e dagli stuoli di belle figheire che li circondano è veramente da citrulli, ed è indecente mettere in relazione i successi del calcio e l’economia, come hanno fatto alcuni cervelloni dopo la vittoria con l’Inghilterra, che vedevano un nesso tra un successo pallonaro e una “ripresa” della nostra economia.
Sorprende che queste scemenze vengano pubblicate, a meno che non lo si faccia per confondere i sudditi e fare sembrare che l’origine della crisi che ci stritola sia misteriosa e che non ci siano nomi, cognomi e partiti che ce l’hanno sulla coscienza. Per tornare al gioco del calcio il ragionamento è semplice: il calcio deve tornare a essere uno sport, e non un lavoro gestito da società per azioni.
Le società sportive devono tornare a gestire il calcio, partendo dal divieto di ingaggiare giocatori stranieri e costruendo le squadre esclusivamente con proprie scuole di calcio, i cui giocatori devono sapere fin dall’inizio che non possono essere né comprati né venduti ad altre squadre.
Le attuali figure dei presidenti miliardari che usano il calcio per far affari e politica verrebbero a decadere, sostituiti da appassionati ed ex-giocatori, con una forte democrazia interna per ogni carica elettiva, con la gestione e la proprietà degli stadi che devono diventare impianti vivi tutti i giorni, autogestiti, e indipendenti economicamente.
Mi si dirà che sono il solito “acchiappanuvole”, ma sfido chiunque a trovare una soluzione più semplice ed efficace per evitare la violenza delle opposte tifoserie che arrivano agli estremi di un ragazzo come Ciro Esposito ucciso dall’odio tra tifosi: le trasferte vanno vietate, e negli stadi entrano devono entrare solo i residenti e gli abbonati, La domenica in cui la squadra è in trasferta i tifosi possono assistere alla partita nel proprio stadio, su maxi-schermi, con famiglie, fidanzate e panini.
Oggi il calcio è pura ideologia, nel senso che trasmette nel profondo, soprattutto ai giovani, disvalori quali la dittatura del denaro, la sudditanza al principe miliardario, l’illusione di vincere, la violenza come reazione alla sconfitta, l’odio per gli avversari. Non capisco come questa Università del male la si possa chiamare Sport.