di Rudi Ghedini
Annunci e rinvii, promesse e impegni personali, una strepitosa capacità di attirare l’attenzione e qualche timida ammissione di non aver potuto fare fino in fondo quello che voleva: ecco, in sintesi, la rutilante conferenza stampa di Matteo Renzi.
Sui famosi 100 euro in busta paga, la maggiore tassazione delle rendite, il taglio dell’Irap e lo sblocco totale dei pagamenti da parte della Pubblica amministrazione, si è concentrata l’attenzione dei costruttori dell’opinione pubblica, quasi a disagio e persino intimoriti dalle scariche di adrenalina scaturite dal “corpo” del premier, con il suo eloquio rivolto direttamente agli spettatori, saltando la mediazione dei giornalisti, e quelle slides da televendita su cui è facile ironizzare, ma che non escluderei abbiano colpito nel segno.
Su un punto della complessa manovra annunciata da Renzi, invece, è rimasto un assordante silenzio. E invece si tratta del punto più concreto, immediatamente rilevante per decine, anzi centinaia di migliaia di persone: chi lavora con un contratto a termine. Cosa ha fatto il Governo? Ha esteso, di fatto, il periodo di prova da tre mesi a tre anni.
Ha effettuato una decisa liberalizzazione dei contratti di lavoro a termine: l’azienda potrà prologarli senza nemmeno specificarne la causale, gli unici limiti sono la durata massima (3 anni, appunto) e il fatto che ogni azienda non potrà avere più del 20% di occupati temporanei (in precedenza, l’asticella si fermava tra il 10 e il 15%).
Altra novità di immediata rilevanza: l’apprendistato viene semplificato, viene a cadere il contratto di formazione in forma scritta e, soprattutto, decade l’obbligo di assumere a tempo indeterminato l’apprendista che ha finito il suo periodo di formazione, prima di poterne prendere uno nuovo. Il ministro del Lavoro l’ha spiegata così: “Il risultato pratico di quell’obbligo era che le aziende mandavano a casa l’apprendista un mese prima che scadesse il contratto, in modo da evitare l’obbligo di stabilizzarlo e poi assumerne uno nuovo”. Per la responsabilità sociale delle imprese, prego, ripassi…
Sul mercato del lavoro, Renzi aveva una maledetta fretta e non ha potuto soddisfarla: il famoso Jobs Act è stato rinviato e prenderà la forma del Disegno di legge delega, dunque avrà tempi incerti e conseguenze a medio termine. Ma intanto, subito, quello che è avvenuto il 12 marzo è un imponente rilancio della flessibilità: le imprese ottengono maggiore libertà sui contratti a termine e sull’apprendistato, e plaudono all’abbattimento di tanti “paletti” che ne regolavano l’utilizzo.
Da oggi, la durata massima del contratto a termine senza l’indicazione della causale, utilizzabile per chi lavora per la prima volta, passa da uno a tre anni. Prima era possibile una sola proroga (sei mesi più sei mesi), ma a patto di inserire nel rinnovo una causale che spesso veniva impugnata davanti al giudice portando all’assunzione a tempo indeterminato. “Adesso, almeno in teoria, si potranno fare 36 contratti di un mese e tutti senza causale”: quest’ultima frase non è una congettura o, peggio, una mia opinione; sta scritta sull’esultante «Corriere della Sera”.