di Leonardo Tancredi
Piazza Grande esce a febbraio con un numero speciale di otto pagine interamente dedicate allo stadio, la curva e al tema del razzismo nel calcio. Il giornale verrà distribuito dai diffusori senza dimora sabato 1 febbraio ai cancelli del Dall’Ara prima della partita Bologna-Udinese. L’idea nasce dopo i fischi della curva a Caruso, la canzone di Lucio Dalla che avrebbe dovuto creare un clima amichevole allo stadio all’arrivo dei tifosi napoletani in occasione di Bologna-Napoli del 19 gennaio.
La città, e non solo, ha parlato di affronto a Dalla, di una curva razzista e del generale abbrutimento di Bologna. Tutte questioni sulle quali Piazza Grande si è sentita chiamata in causa, da qui la decisione di raccogliere punti di vista per capire da dove nascono quei fischi e provare a creare un’occasione di dialogo. Il numero è realizzato in collaborazione con W il Calcio, progetto promosso dalla cooperativa sociale Accaparlante e dall’associazione Bandiera Gialla.
I primi a parlare sono gli ultras. Giusi degli URB spiega perché gli ultras possono aiutare gli alluvionati della Bassa modenese, amare Dalla e contestare Caruso senza essere incoerenti. “Siamo abituati a stare in un gruppo e ad aiutarci e se intorno a noi la gente ha bisogno, facciamo qualcosa per gli altri. Questo fa parte del mondo ultras”. Sui fatti del 19 gennaio, per gli ultras lo snodo è la “discriminazione territoriale”, una norma duramente contestata da tutti gli ultras italiani.”Tra noi, se c’è un’ingiustizia colpisce tutti, non solo il singolo gruppo e con la discriminazione territoriale vai a toccare un tema identitario per gli ultras. Gli stessi ultras napoletani ci hanno dato solidarietà”. Un punto fermo per tutti, ultras compresi, è Lucio Dalla: “Al concerto dell’anno scorso ci siamo arrampicati ovunque per esporre il nostro striscione per Lucio”.
Un approccio diverso viene da una colonna del giornalismo sportivo nazionale, Gianni Mura, intervistato da Ambra Notari. “Al Dall’Ara Sono morti il buon gusto e il buon senso. Quello che è successo è un insulto al passato, che ribalta il ricordo di Bologna oasi del tifo italiano”. Secondo Mura, il calcio non è un mondo a parte ma “lo specchio di questa pessima Italia. Finché gente come Calderoli siederà in Parlamento, come si può fare la paternale a un ultra? Allo stadio lanciano banane come vengono lanciate al ministro Kyenge”.
Su posizioni simili è lo scrittore napoletano bolognese d’adozione, Luca Di Meo, noto come Wu Ming 3 e animatore del blog Fùtbologia. “Siamo il Paese che ha visto, poche settimane fa, una strage di centinaia di sventurati a 800 metri dalle nostre coste. Il Paese dei CIE, lager per persone che neanche sappiamo chi sono e che chiedono asilo. Come sempre lo stadio non è che una piccola istantanea degli umori che albergano in un brodo sociale. Come ogni brodo, fatto di ingredienti diversi. Ci stavano quelli che volevano cantare Caruso e qui Emilio Marrese, altra firma del giornalismo sportivo, affronta il tema in prospettiva storica. “Andare allo stadio oggi è sempre meno pericoloso. Negli anni ’70 le tifoserie non erano separate in modo così chirurgico come accadde oggi né dentro né fuori lo stadio, andare in curva San Luca al tempo equivaleva a una sorta di educazione siberiana”.
Scrittore e tifosissimo rossoblu, Gianluca Morozzi, ironizza “Non ho mai pensato che i modenesi auspicassero veramente lo schianto di un aereo contro le Due Torri, quando hanno esposto quello striscione su Canarin Bin Laden lanciato contro la Asinelli”. Il problema secondo lo scrittore bolognese è vedere “la differenza tra una cosa seria, drammatica, intollerabile come il razzismo e il becero, greve, volgare quanto volete insulto da stadio”.