di Stefano Marchetti
Il ‘secolo breve’ lei lo ha vissuto tanto, e intensamente: nella politica, nel giornalismo, e soprattutto nelle idee. Rossana Rossanda, la ‘comunista eretica’, fondatrice del ‘Manifesto’ (che ha anche diretto), ha conosciuto le speranze dei cambiamenti radicali che hanno attraversato il ‘900, ma ha anche visto che quel tessuto di grandi idee ne è uscito poi sconfitto. Nei suoi anni al giornale, ha incontrato molti protagonisti del secolo inquieto: più che interviste, i suoi erano ‘liberi dialoghi, colpi di sonda’.
Un’antologia, ‘Quando si pensava in grande’ (edita da Einaudi), raccoglie venti di quei ‘faccia a faccia’ ormai storici, dal 1965 al 1998: rileggiamo le parole di Gyorgy Lucaks e Jean Paul Sartre, di Louis Althusser e Salvador Allende, così come di Trentin e Ingrao, D’Alema e Bertinotti, tutti ‘volti della Sinistra’.
Per iniziativa dell’associazione ‘Il Manifesto in rete’, si parlerà del libro oggi alle 18 alla Feltrinelli di piazza di Porta Ravegnana: con Mauro Chiodarelli, ne discuteranno il giornalista Gabriele Polo, l’ex segretario Fiom Gianni Rinaldini e la politologa della Columbia University Nadia Urbinati. Rossana Rossanda (che il 23 aprile compirà 90 anni) non potrà esserci, ma da Parigi ha risposto alle nostre domande.
Signora Rossanda, qual è l’incontro di cui conserva un ricordo più forte?
«Forse quello con Salvador Allende, per l’equilibrio e la determinazione quando già cominciava a essere duramente attaccato dalla destra; certo non immaginava il tradimento dell’esercito».
Lei stessa sottolinea che questi venti ‘testimoni’ sono tutti nei diritti, o se dovessero avanza uomini…
«Le donne sono state spesso escluse ‘dalla formazione dei codici’».
Qual è stato allora il loro ruolo?
«Nella prima metà del secolo le donne hanno compiuto un processo di emancipazione e ottenuto almeno formalmente l’uguaglianza nei diritti politici in Occidente. Nella seconda metà, il femminismo, nelle sue differenti versioni, ha posto la domanda se le donne dovessero semplicemente diventare eguali agli uomini nel voto e nei diritti, o se dovessero avanzare un nuovo protagonismo, diverso dai codici maschili. Il dibattito è ancora aperto».
Negli anni a cui si riferiscono queste interviste ‘si pensava in grande’. Qual è stata, dopo, la disillusione maggiore?
«Il contentarsi di un pensiero debole e senza ambizioni».
Si può ancora pensare in grande?
«Per ‘pensare in grande’ intendo affrontare criticamente la qualità e le tendenze del capitalismo globalizzato. Se non lo si fa e ci si attiene, come è avvenuto finora, a una semplice politica monetaria, basata sul risarcimento del debito e sulla possibilità di ripresa, andremo a sbattere contro un muro per la crescita della disoccupazione e del disagio sociale, problemi che già ora sono monopolizzati dalle destre».
Venticinque anni fa il ‘fatidico’ 1989. Che mondo è uscito da quel rivolgimento?
«È uscito un mondo dal quale si è cercato fino ad ora di eludere le ingiustizie del capitale globalizzato e persino le conquiste presocialiste della rivoluzione francese».
Cosa resta della sinistra?
«Restano alcuni brandelli di freddolosa socialdemocrazia e dei partiti che si collegano soprattutto e solo emotivamente al comunismo, senza affrontare né l’analisi dei comunismi reali e della loro crisi, né l’individuazione dei punti di fondo che la cancellazione degli operai produce in Occidente. Nelle altre zone del mondo assistiamo a una ripresa delle ideologie di impronta religiosa».
Possiamo ancora credere nella politica?
«La politica c’è sempre. Può esistere un vuoto o assenza della sinistra, ma in questo caso sono i vari umori di destra che si fanno avanti».
E qual è il ruolo dei partiti, oggi che sembra invece prevalere l’antipartitismo?
«Per il ruolo dei partiti mi attengo alla Costituzione italiana: mi stupisce che non vi si attengano tutti i democratici e che la crisi dei partiti attuali, dovuta da un lato a processi di corruzione, dall’altro a personalismi e distacco dalla problematica reale del paese, coincida con la negazione di ogni loro ruolo».
Quale personaggio vorrebbe intervistare oggi? E quale domanda gli porrebbe come più ‘urgente’?
«Sono molte le persone che mi piacerebbe intervistare, mentre non ho più la possibilità di farlo. Come urgenza per l’Italia, per la Francia e in genere per l’Europa, chiederei volentieri a Prodi e a Delors, se mi volessero rispondere, se non sentano deviate le loro posizioni dei primissimi anni ’90 e a che cosa attribuiscono questa torsione del loro progetto iniziale».
Questa intervista è stata pubblicata sul quotidiano ‘Il Resto del Carlino’ domenica 12 gennaio 2014