di Alfiero Grandi
Nel decreto legge che si pone l’obiettivo di riportare il deficit pubblico entro il 3 % c’è il condono per i concessionari dei videogiochi. Queste macchine, circa 300.000 dovevano essere collegate al sistema informatico del Ministero per controllarle e per garantire il pagamento delle tasse dovute ma in realtà questo non è avvenuto per lunghi periodi, contariamente a quanto previsto dalle convenzioni stipulate dai 10 concessionari. Dopo un’indagine accurata la Corte dei Conti condannò i concessionari a pagare 2 miliardi e 800 milioni di euro, concedendo un enorme sconto rispetto ai conti degli inquirenti.
Tuttavia il dato positivo è che i concessionari erano stati comunque condannati a pagare una cifra non disprezzabile. In ogni caso era la magistratura contabile ad avere fatto questa scelta. Mentre il Governo ha proposto e il parlamento sembra orientato ad accettare di ridurre a soli 600 milioni, circa il 20 %, l’onere a carico dei concessionari. Perché? Per incassare in fretta? C’è una sentenza. Questa motivazione francamente non sembra credibile, tanto più che risulta che la maggior parte dei concessionari, parte dei quali è quotata in borsa, aveva già accantonato cifre tali da lasciare pensare che il pagamento della multa veniva data per scontata dagli interessati.
Tranne uno, che però è coinvolto in inchieste ben più gravi e a cui comunque poteva essere tolta la concessione in caso di mancato pagamento. Quindi si tratta di un condono e a prezzi da saldo, malgrado una sentenza della Corte dei Conti. Scelta incomprensibile sotto il profilo dei conti pubblici, perché lo Stato ci rimette l’80 %, ed eticamente un errore, almeno per quella parte del Governo che era stata contraria allo scudo fiscale e ad altri condoni precedenti, affermando con forza che si sarebbe opposta ad altri condoni.
Altro episodio, ancora più grave, è quanto si sta delineando per i capitali italiani esportati illegalmente all’estero. Naturalmente anche in questo caso la motivazione è fare cassa con urgenza. Come è noto l’antefatto è lo scudo fiscale che ha portato nelle casse dello Stato la ridicola cifra di 5,5 miliardi di euro contro i 105 miliardi circa rientrati, o ripuliti, senza alcuna conseguenza penale. Un condono tombale convenientissimo. Non risulta tra l’altro che l’Agenzia delle Entrate abbia operato per il rientro dell’Iva evasa che essendo tributo europeo è oggetto di contestazione della UE.
Infatti l’Ue aveva contestato il condono tombale per la parte Iva – che Tremonti aveva aggiunto come sovrappiù – chiedendo che l’Italia recuperasse le somme evase. Per farla breve l’Italia ha venduto fumo a Bruxelles e tutto è rimasto così. Non risulta che l’Agenzia delle Entrate abbia fatto una campagna per recuperare l’Iva evasa. Malgrado questa enorme convenienza molti capitali italiani sono rimasti all’estero, o ci sono andati successivamente, tanto è vero che sono in corso trattative con gli “Stati rifugio” come la Svizzera. Trattative che per ora non hanno dato esito. La prima notizia è arrivata da un convegno presso l’Università di Pavia dove Tremonti, non più Ministro, e il direttore dell’Agenzia delle Entrate hanno presentato un’ipotesi di rientro spontaneo dei capitali evasi.
Come sia possibile questo apparente miracolo è presto detto. Anzitutto gli evasori che riporteranno in Italia i capitali illegalmente esportati pagheranno le tasse solo sul presunto guadagno di questi capitali e pagando una sanzione pari alla metà del minimo. La convenienza comincia ad essere interessante perché non verrebbero pagate le tasse sull’evasione compiuta ma solo sul guadagno presunto dell’impiego dei capitali evasi. Eppure se qualcuno ha portato fuori dall’Italia dei soldi da qualche parte li ha sottratti e quindi presumibilmente non ha pagato le tasse dovute, ha falsificato bilanci, ecc. Altrimenti il giochetto avrebbe potuto essere scoperto.
In più viene promessa una sanzione pari alla metà del minimo. Perché? Ci si richiama ad un lontano dispositivo del 1997, ma è applicabile a questi casi. Poi chi decide chi merita lo sconto? Per farla breve secondo calcoli del Sole su 100.000 euro esporatti illegalmente ci sarebbero da pagare poco più di 1200 euro. Una manna. Purtroppo gli evasori sono sospettosi e vogliono ancora più garanzie. Anzitutto l’Europa potrebbe sempre rivendicare l’accertamento dell’evasione dell’Iva, che riguarda certamente un buon numero di casi, e poi c’è lo scoglio del reato penale, che soprattutto per cifre ingenti potrebbe diventare un problema serio, visto che il rientro dei capitali è in sostanza un’autodenuncia. Quindi risulta che al Ministero dell’Economia qualcuno sta studiando come offrire agli evasori anche queste garanzie, modificando le leggi penali.
È sperabile che Letta e Saccomanni ci pensino bene. Non c’è urgenza finanziaria che giustifichi condoni di alcun tipo. La questione prima che finanziaria è etica. Proprio i sacrifici richiesti ai cittadini obbligano tutti alla trasparenza e a non consentire che chi ha sottratto risorse al paese riesca a farla franca, per di più pagando cifre irrisorie ed evitando le conseguenze penali. Altri paesi hanno risolto in ben altro modo questo problema. Liste sospette sono state trovate anche dai servizi segreti di altri paesi e hanno consentito di mettere sotto torchio gli evasori e in particolare gli esportatori di capitali. Purtroppo la scelta fatta verso i concessioanri dei videogiochi non è un bel biglietto da visita, ma questa operazione sarebbe un fatto di gravità ben maggiore.
Questo articolo è stato pubblicato sul quotidiano L’Unità lo scorso 5 novembre