di Maurizio Matteuzzi, università di Bologna
Non si chiamava così, ma la privacy ce lo farà chiamare Chieregatti. Chieregatti, in una causa civile, aveva chiamato a testimone, nella fase della prova testimoniale, il suo vicino di pianerottolo, che chiameremo Donnoni. Già passati due anni, già sentite le parti, ad ogni passaggio con un intervallo di un paio d’anni, ci si ritrova in udienza. Ma il magistrato ha un altro impegno, ha stabilito lui quel giorno un anno prima, e tuttavia “non può”, per la coda di un’altra causa, almeno ufficialmente. No comment. Si impalca in cattedra la sostituta, una piacevole moretta sui trent’anni, piccolina e pepata.
Prima domanda al Donnoni: “Lei è mai stato in via Mazzini 68?” Ci abita, la cosa lo mette in agitazione. Grazieadio risponde “sì”. Chieregatti prova a dire “ma guardi che ci abita”. La magistrato, austera e autoritaria, gli dice: “ma lei è laureato in legge? Se no taccia!”
La magistrato continua. Anziché interrogare il teste sui capitoli per i quali è chiamato a deporre, decide di interrogarlo su TUTTI i capitoli, anche su quelli di altri testi, relativi a fatti che il Donnoni non poteva conoscere. E questi, intimorito, prende la cosa come “lascia o raddoppia”, e cerca di indovinare.
Gli si domanda del sig. Lazzàri. Biblicamente, tutti lo si conosce come Làzzari, Christus docet: Lazzaro. Alzati e cammina. Un lieve disorientamento, poi Donnoni capisce, e risponde più o meno a segno.
La magistrato continua: “lei sentiva degli odori metifìci in loco?”. Metifìci spiazza completamentre il teste. Che voglia dire “mefitìci”? Non ci sarà un trucco giuridico? Chieregatti, che è professore universitario di linguaggio e di logica, comincia a preoccuparsi. Che sia italiana questa gradevole moretta, che non ha letto niente degli atti, e non capisce assolutamente di cosa si parla? Prova a dire: “Ma non sarà albanese?”. Il legale suo lo zittisce, coprendogli la voce.
Si procede. La questione successiva riguarda l’uso del cavédio, il cortile interno del palazzo. La magistrata prosegue imperterrita: “Lei ha potuto vedere lo stato del cavedìo? Cavolo, cave – dio, come cave canem. Qui il Donnoni, da buon cattolico, va in crisi totale. Perlamadonna, c’entra anche Dio? Ma come faccio a testimoniare contro Dio?
Ecco, tutto quanto detto è assolutamente vero, puntualmente, eccetto i nomi propri. Questa persona, chiamata a giudicare, era quasi analfabeta in italiano, non aveva letto il pregresso, e quindi agiva con domande randomiche e scoordinate, aveva una grande spocchia nel tappare la bocca a chi non “era laureato in legge”. Chieregatti era scandalizzato. Aveva bene in mente questa tipologia umana, ragazzetti ignoranti che cercano un dottorato o un assegno, e sono molto servizievoli, fino a che non gli si dà il titolo di studio. Ma perché glielo diamo, si chiedeva. Magistrati ignoranti in generale, addirittura con tragiche lacune di italiano, assolutamente impermeabili alla logica, che non hanno mai incontrato nel loro cursum studiorum. E ora supremi giudici del bene e del male. Chieregatti pensò: c’è qualcosa che tocca.
Al di là della povera infelice di cui s’è detto, che contezza potrebbe avere un magistrato, anche normale, di una situazione di cui si era discusso più di un anno prima, e le cui carte sarebbero state scorse, in diagonale, nella migliore delle ipotesi, quella stessa mattina, mezz’ora prima, con il caffè?
Così va il processo civile italiano. Un anno o due tra un’udienza e l’altra. Nemmeno Pico della Mirandola ci potrebbe capire qualcosa. Al di là delle procedure, che credibilità hanno questi magistrati, ignoranti e supponenti, e certi della impunità delle loro decisioni, spesso casuali, quali che siano?
Se vogliamo dire la verità vera, quella che rispecchia il mondo e non il latino maccheronico dei giudici, i magistrati hanno avuto una grande fortuna. Che si chiama Berlusconi. I vari casi “Berlusconi”, e i suoi demenziali attacchi alla magistratura, hanno obbligato le persone oneste a
prendere le difese dei giudici.
Una volta che ci saremo liberati, ammesso che ciò possa avvenire, del pregiudicato e delinquente satrapo di Arcore, liberi dalla necessità di dovere difendere i principi di Montesquieu, potremo finalmente dire quello che davvero pensiamo di questo modo di fare i magistrati?