di Ermelinda Valentina Di Lascio
L’edificio del tuo orgoglio deve essere smantellato.
E questo è un processo che terrorizza.
L. Wittgenstein
Nella Grecia del V sec. a.C. vi erano delle figure itineranti il cui mestiere consisteva nel recitare, perlopiù in occasione di competizioni pubbliche, famosi brani poetici e, secondo le più persuasive analisi interpretative, nell’offrire poi un discorso elogiativo del lavoro del poeta del quale si facevano interpreti. Questo elogio riguardava principalmente la correttezza delle cose dette dal poeta. Tali persone erano chiamate ‘rapsodi’ e solitamente ogni rapsodo era specializzato in un poeta. Per la loro estesa conoscenza dei testi poetici erano considerati sapienti, così come lo erano considerati i poeti stessi: basti pensare che lo studio dei poemi omerici era parte fondamentale dell’educazione primaria in quanto considerati una sorta di manuali dai quali era possibile acquisire conoscenza in tutte le discipline.
Nel dialogo platonico intitolato Ione, Socrate (470-399 a.C.), la figura filosofica probabilmente più nota dell’antichità e protagonista di quasi tutti i dialoghi scritti dal suo allievo Platone, chiede ad Ione, che con boriosa fierezza vanta fama di eccellente rapsodo di Omero, quale sia il suo ambito di conoscenza in quanto rapsodo. Ione gli risponde di conoscere tutto ciò che Omero riporta nei suoi poemi. Egli non intende affermare semplicemente che conosce a memoria i versi di Omero o il loro significato ma che, come Omero stesso, possiede conoscenza delle varie discipline delle quali Omero parla nelle sue opere, dall’arte del calzolaio a quella del generale, alle cose divine, conoscenza d’altronde necessaria per poter tessere l’elogio di Omero. Ma, nel corso del dialogo, Socrate, interrogando Ione, lo induce a contraddirsi rispetto alla sua dichiarazione di conoscenza (cioè mette in atto un elenchos, una ‘confutazione’) o ad ammettere conseguenze assurde.
Ecco cosa accade, per esempio, nella prima parte della conversazione. Ione si dichiara un rapsodo esperto solo di Omero. Socrate gli chiede allora se molti argomenti oggetto della poesia di Omero non siano presenti anche nelle opere di Esiodo (altro famoso poeta della fine dell’VIII-inizio VII sec. a.C.) e se i due poeti a volte non dicano le stesse cose riguardo ad essi. Ione risponde affermativamente. Ma allora-continua Socrate-in tale caso Ione dovrebbe essere in grado di comporre un elogio non solo di Omero, ma anche di Esiodo. Ione si dichiara di nuovo d’accordo. Ma se Ione è davvero esperto delle cose di cui parla Omero, allora dovrebbe essere in grado di fare la stessa cosa anche quando Omero ed Esiodo dicono cose diverse sullo stesso argomento. Ione concorda ancora una volta, condannandosi alla sconfitta dialettica: da tutto ciò che ha ammesso consegue che egli dovrebbe essere esperto non solo di Omero ma anche di Esiodo e altri poeti. Ma dato il fatto che Ione non è in grado di tessere l’elogio di altri poeti ma solo di Omero, bisogna concludere che egli non è in realtà esperto di Omero, cioè non possiede conoscenza di tutte le discipline di cui Omero parla. Questa conclusione è quindi in contraddizione con l’affermazione originaria di Ione.
Più tardi nel dialogo Socrate esamina tutte le varie discipline delle quali Ione si dice esperto per condurlo, tramite argomentazione, a concludere che per ognuna di esse l’esperto è in realtà un’altra figura: il calzolaio, il generale, il sacerdote, etc. La domanda iniziale di Socrate su quale sia la conoscenza propria del rapsodo viene allora reiterata, ma Ione non è mai in grado di fornire una risposta soddisfacente. L’ultimo tentativo di Ione consiste nell’affermare che la conoscenza del rapsodo non è altro che quella dell’arte del generale, una delle cose in cui Omero stesso era considerato massimamente esperto: da ciò segue però la conseguenza assurda che poiché Ione è il migliore rapsodo greco deve essere anche il migliore generale greco. Eppure-osserva Socrate-Ione non è in campo a combattere, anche se nel momento storico in cui tale scambio dialettico è ambientato la Grecia era in guerra.
Cosa ci mostra il breve resoconto di questi scambi dialettici? Il fatto che Ione possiede credenze in contraddizione tra di loro (crede di possedere una certa conoscenza, ma crede vere anche altre cose che implicano che egli non possiede quella conoscenza) e che la sua credenza di conoscenza lo conduce a conseguenze assurde e quindi insostenibili, suggerisce la possibilità che Ione non possiede la conoscenza che dice di possedere. Nonostante ciò, Ione non si mostra affatto disposto ad abbandonare tale credenza. Egli arriva persino ad indignarsi quando Socrate cerca di offrire una spiegazione alternativa della sua capacità di saper tessere l’elogio solo di Omero, cioè che Ione sia ispirato da un dio. Ma neanche l’essere accostato al mondo divino riesce a porre Ione nella condizione di abbandonare la sua dichiarazione di conoscenza. Alla fine del dialogo Ione accetterà questa alternativa, ma solo perché la discussione è arrivata ad un punto tale che continuare a sostenere di possedere conoscenza metterebbe a repentaglio la sua reputazione, cosa chiaramente molto cara ad un personaggio pubblico come un rapsodo.
Nell’articolo che ha aperto questa rubrica il mese scorso ho argomentato che fare filosofia è un bisogno umano inevitabile, e ho brevemente fatto cenno a preziosi vantaggi che una pratica filosofica dialettica può portare. Eppure la paradigmatica storia di Ione potrebbe farci pensare che tali conseguenze siano in fondo tutt’altro che vantaggiose. Noi tutti pensiamo di possedere almeno qualche conoscenza, qualche credenza vera, per lo meno nel nostro ambito lavorativo: un medico penserà verosimilmente di sapere cosa sia la medicina e di possedere un’insieme di conoscenze afferenti al suo campo di specializzazione; un insegnante delle scuole primarie penserà di sapere cosa sia insegnare e di possedere un’insieme di conoscenze afferenti a quel tipo di istruzione; eccetera.
Eppure, se accettiamo di aprirci a quel bisogno umano di fare filosofia, un giorno nel corso di una discussione potremmo trovarci di fronte ad un’argomentazione che mina alla base la nostra credenza di conoscenza. Ci irriteremo come Ione o saremo pronti ad accettare l’esito della discussione? Accettare l’esito della discussione ha le seguenti conseguenze: dover rinunciare, almeno temporaneamente, alla nostra credenza di possedere conoscenza, imbarcarci in un’analisi di noi stessi, cioè di revisione del nostro insieme di credenze su noi stessi e sulla realtà che ci circonda, e quindi molto probabilmente mettere in discussione cose che crediamo vere da sempre, credenze condivise dal resto della società. Lo sconvolgimento della nostra vita sarebbe non piccolo: noi viviamo, agiamo sulla base delle nostre credenze.
Che tali conseguenze siano non semplici da accettare e da perseguire lo dimostra il fatto che la maggior parte degli interlocutori di Socrate-politici, poeti, artigiani, etc.-non sono riusciti a farlo: l’insinuazione di Socrate che queste persone non possedessero la conoscenza che credevano e dichiaravano di possedere e che era loro riconosciuta dalla maggior parte delle persone suscitò in loro una rabbia tale che nel 399 a.C. Socrate si ritrovò in tribunale e venne infine condannato a morte. Non riuscendo ad accettare la verità su loro stessi preferirono uccidere chi gliela ricordava. Eppure ‘smantellare’ le nostre credenze se risultano inconsistenti è l’unico punto di partenza possibile per una ricerca veritiera su noi stessi e sul mondo: il primo passo verso la vera conoscenza consiste nella liberazione dall’illusione di sapere, nella purificazione da credenze false. Sarà come aprire gli occhi su noi stessi, ma anche sugli altri: saremo in grado di riconoscere chi non è davvero un esperto ma appare solo esserlo, e queste persone potrebbero essere coloro nelle mani dei quali affidiamo la nostra salute, la nostra istruzione, il governo del nostro paese.