Il femminicidio linguistico di Marilia Rodrigues, la "brasiliana"

5 Settembre 2013 /

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di Gennaro Carotenuto
Marilia Rodrigues, la cittadina brasiliana di 29 anni assassinata in provincia di Brescia, viene uccisa in queste ore una seconda volta, in quanto donna, in quanto bella e in quanto straniera ed extracomunitaria e in quanto proveniente da un paese al quale facciamo corrispondere stereotipi razzisti e sessisti sulla presunta disponibilità della donna. E in un paese, l’Italia, dove l’ex-ministro della difesa Ignazio La Russa definì il Brasile come un paese buono per ballerine ma non per giuristi, siamo di fronte ad una triste conferma sulla nostra incapacità di stare al mondo.
Se fosse stata francese o tedesca o bresciana la povera Marilia non sarebbe stata etichettata come «la tedesca» o «la bresciana». Sarebbe stata «la cittadina tedesca» oppure sarebbe stata «la ragazza francese». Oppure «la donna inglese» , o «la signora svizzera», spesso definendone lo status sociale, in modo più sbrigativo per «donna», più deferente per «signora». Invece basta fare una piccola ricerca per prendere atto che, per la maggior parte dei giornali, Marilia è solo «la brasiliana» (ma poteva anche essere «la siciliana» o «la napoletana») con un senso tra il lascivo e il razzista che si coglie dall’ellissi dell’identità che i media si sentono liberi di fare quando non si sentono liberi di dare per scontato un passato scomodo (o meglio facile) per la vittima.
Dobbiamo rifarci alla stampa brasiliana per sapere qualcosa di più di lei e restituirle un po’ di identità al di fuori degli stereotipi. Veniva da Uberlândia Marilia, città di poco meno di un milione di abitanti nello stato di Minas Gerais. Questo è uno dei grandi stati industriali della potenza brasiliana, una specie di Lombardia, caratteristica che fa fatica a essere associata dalla nostra stampa a quel paese e non ha neanche una grande squadra di calcio da ricordare o un carnevale notevole, ammesso che interessi davvero sapere da dove veniva quella vita spezzata nella provincia lombarda.

Invece Marilia viveva a Milano con la mamma da circa dieci anni. Solo di recente la madre era tornata a Uberlândia. Marilia, che non aveva altri parenti in Italia, aveva continuato a vivere e lavorare a Milano fino a quando aveva cominciato a far la pendolare col paese dove aveva trovato lavoro e avrebbe poi trovato la morte. Non è vero quindi che «la ragazza del trolley» fosse senza fissa dimora (quindi sbandata, quindi disposta a saltare nel letto del primo che le offrisse un pasto caldo). Non faceva né la ballerina, né la «ragazza immagine», né le pulizie nel posto dove è stata uccisa, ammesso e non concesso che tali professioni umilino – per motivi diversi – la dignità della donna. Anzi, in quell’impresa che col Brasile lavorava, Marilia aveva guadagnato un ruolo amministrativo di responsabilità nel quale faceva valere le sue competenze linguistiche in portoghese, la sua conoscenza del paese, i suoi studi specifici e avrebbe col tempo superato la precarietà dei ragazzi della sua generazione con un buon avvenire davanti. In ogni caso il suo, insindacabile, e al quale aveva diritto.
Infatti, nei dieci anni in Italia, aveva studiato turismo e aveva lavorato come hostess per una compagnia aerea. Marilia non era la brasiliana «misteriosa e sfuggente» che magari usava l’avvenenza per campare alle spalle del bravo italiano che avesse «perso la testa per lei» ma era una giovane donna che aveva scelto di vivere, studiare e lavorare tra noi per buona parte della sua vita adulta. Nulla di misterioso né di border-line e, probabilmente, ad avere la pazienza di cercarli, decine di amici possono raccontarla. Per scrivere questi pochi dati non ho fatto alcuno sforzo: ho perso cinque minuti su «O Globo» e un altro paio di noti quotidiani brasiliani che ne hanno ricostruito il passato. In Italia al contrario si trova ben poco per una notizia in prima pagina nella quale, come spesso accade, i media scelgono di appoggiarsi all’accomodamento, allo stereotipo, al razzismo e al sessismo aperto nel liquidare Marilia «la brasiliana» come altro da noi. Presto prenderanno posizioni giustificazioniste per l’assassino, vedrete.
Questo post è stato pubblicato sul blog di Gennaro Carotenuto

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