di Natalia Marino
«La storia con Paolo è cominciata come tante altre e, purtroppo, non è ancora finita. All’inizio era carino, premuroso, amorevole. Desiderava ricominciare, dopo un precedente rapporto concluso da poco. Aveva una tale fame d’amore… Come me, che avevo a quel tempo 28 anni. Ci siamo messi insieme quasi subito, entrambi a perseguire un bel progetto. Lui decise di prendere in gestione un’attività, gli diedi un grande aiuto economico, attingendo ai miei risparmi di segretaria.
Era molto geloso, quando uscivamo diceva che mi guardavano tutti e gli dava fastidio; ogni volta che volevo vedere le mie amiche mi bloccava perché una donna di famiglia non può uscire quando le pare, deve pensare solo a gestire e pulire la casa. Si arrabbiava quando mi mettevo a disegnare perché distoglievo l’attenzione da lui. Ero molto innamorata, il mio unico desiderio era costruire una famiglia e ho cominciato ad assecondarlo. Pensavo che la gelosia fosse la prova tangibile del suo amore, me ne sentivo gratificata.
Non gli andavano a genio i vestiti che compravo, mi accusava di essere troppo appariscente, che mi volevo mettere in mostra ed ero poco seria. Mi ripeteva in continuazione: “Non sei una brava donna di casa, devi prendere esempio da mia madre”. Alla fine ha cominciato a comprare i vestiti per me, scegliendo solo quelli che riteneva opportuni. E non potevo replicare.
Nel febbraio del 2003 sono rimasta incinta di Stella. E il primo episodio di violenza fisica da parte di Paolo avvenne durante la gravidanza. Ne seguirono molti altri. Solo sei anni dopo ho iniziato a cercare di allontanarmi da lui. Per prima cosa ho tentato una soluzione pacifica, parlando con Paolo per giungere a una separazione meno traumatica possibile per la bambina. Lui ha reagito in modo ancora più aggressivo, il suo comportamento è andato peggiorando. Mentre mi trovavo al lavoro, Paolo mi ha inviato un SMS per avvertirmi di andare a controllare qualcosa nella mia macchina. Di solito non la chiudevo a chiave e ci ho trovato un messaggio: “Al tuo ritorno non troverai più la bambina”.
Ho preso un permesso nonostante il mio posto di lavoro fosse a rischio per i tagli dell’azienda e sono corsa a casa col cuore in gola. In quel momento non me ne importava niente, non sapevo neppure che alla fine avrei perso l’impiego proprio per colpa di Paolo. A casa, ha aperto la porta e mi ha detto: “Hai avuto paura, eh?” Cominciò a chiudere con le mandate la porta di casa ogni notte: “Tu le chiavi non le puoi toccare, non uscirai da qui fino a domani mattina”.
Si sedeva al tavolino del salotto e cominciava a fare i cruciverba ad alta voce, leggendo le definizioni e le risposte; lo faceva per farmi sentire la sua voce anche se andavo in un’altra stanza. La bimba subiva un clima insopportabile. Le maestre mi vollero parlare per capire in quale ambiente vivesse Stella. Dopo altri episodi decisi di lasciare Paolo e tornare a vivere dai miei genitori, malgrado il contratto d’affitto della casa fosse intestato a me. Tutto per stare tranquilla, anche rinunciando ai miei diritti. Invano.
Quando portavo mia figlia a scuola, Paolo si appostava lì e mi seguiva. È arrivato anche ad attaccarsi alla sportello della mia auto, per non lasciarmi andare. Spesso mi strappava Stella dalle mani e la portava via, gettandomi nel panico totale. A volte ho chiamato i carabinieri che però mi rispondevano che era il padre e aveva diritto a stare con lei. Allora concordai delle modalità di incontro con la figlia, veniva a prenderla quando era libero e la teneva senza restrizioni orarie.
Un giorno, mentre ero in ufficio, ho sentito il rumore di un’auto che dava gas e frenava, compulsivamente. Mi sono affacciata e ho visto Paolo che faceva questo carosello, con la bambina che piangeva, e apriva la portiera della macchina lanciata a velocità folle. I poliziotti mi hanno riportato la bambina sana e salva e hanno ammanettato Paolo. Dopo alcune ore era di nuovo libero.
Un’altra volta ha fatto recapitare al mio datore di lavoro un pacco contenente feci umane, su un biglietto era scritto il mio nome: “È questo che vi tenete in ufficio”. Nella già prevista riduzione del personale, la prima a essere licenziata fui io. Per mesi Paolo ha trascorso giornate e nottate intere in macchina davanti alla mia abitazione. Disperata e terrorizzata, un giorno mi sono rifugiata in una caserma di polizia e mentre ero lì ho ricevuto 23 telefonate da parte sua. Mi è stato suggerito di rivolgermi al Servizio antiviolenza.
Grazie al sostegno legale ho ottenuto l’ordine di allontanamento per Paolo, che non può più avvicinarsi a me, alla bambina, alla scuola, alle abitazioni dei miei genitori e dei miei amici, alla sede del nuovo lavoro che ho trovato. Abbiamo ricominciato a respirare, io e Stella».
Questo articolo è stato pubblicato sul mensile dell’Anpi Patria Indipendente, numero 6 del 2013