Ci sembra utile tradurre questa intervista, pubblicata il 23 ottobre 2010 dal quotidiano tedesco die tageszeitung (col titolo “Se vuoi ammazzare qualcuno, gli dai un’arma in mano?”). La conversazione prendeva lo spunto dall’allora imminente uscita del film “Carlos – Lo sciacallo” del regista Olivier Assayas. Thomas Kram, che incontrò tre o quattro volte Carlos, ripercorre la storia delle Revolutionäre Zellen, dal diretto coinvolgimento negli anni ’70 in azioni terroristiche del gruppo palestinese Fplp (in cui militò anche Carlos), alla rottura di quei legami internazionali dopo il dirottamento di un aereo a Entebbe nel 1976, alla critica del militarismo esasperato e al riposizionamento in appoggio ai movimenti d’opposizione in Germania, con la pratica di una guerriglia “leggera” e diffusa.
Thomas Kram è indagato a Bologna per la strage alla stazione perché il 2 agosto 1980 si trovava in quella città: non avrà mica messo lui la bomba su incarico di Carlos, per conto dei palestinesi? Il costrutto accusatorio parte dalla premessa che nel 1980 Kram fosse “un uomo di Carlos”. La storia delle Cellule rivoluzionarie dimostra esattamente il contrario. Di qui l’attualità “bolognese” dell’intervista (g.a.)
Intervista di Andreas Fanizadeh e Christoph Villinger
Taz: Nel 1975 Ilich Ramirez Sanchez, detto “Carlos”, divenne famoso in tutto il mondo. Un commando da lui guidato prese d’assalto la conferenza dell’Opec a Vienna. Partecipò in prima linea anche un membro delle Cellule rivoluzionarie tedesche (RZ). Signor Kram, lei fece parte delle RZ: all’epoca ebbe contatti personali con Carlos?
Thomas Kram: Nel 1975 ero appena entrato nelle RZ, e non ero stato informato prima dell’azione contro l’Opec.
Quanti anni aveva allora?
Ne avevo 27. Conoscevo Carlos solo dai media, e non avevo niente a che fare con lui. In seguito l’ho conosciuto personalmente, in occasione delle mie visite a Johannes Weinrich dopo il suo passaggio in clandestinità, nel 1978/1979.
Ha incontrato Carlos più d’una volta?
Tre o quattro volte. Ogni tanto, quando incontravo Weinrich a Berlino est o a Budapest, veniva anche lui.
Qual era il motivo degli incontri?
Johannes Weinrich e Magdalena Kopp venivano dalle RZ, e alla fine degli anni ’70 continuavano a considerarsi appartenenti a questa organizzazione. Poiché il nostro legame non era basato soltanto sulla politica, ma anche sull’amicizia, volevo mantenere un contatto con loro, nonostante avessimo già priorità politiche diverse.
All’inizio di novembre uscirà nelle sale tedesche il film “Carlos – Lo sciacallo”. Carlos è interpretato dall’attore venezuelano Edgar Ramirez. Lei ha già visto il film e ha conosciuto Carlos personalmente: Ramirez la convince nel ruolo di Carlos?
Difficile dirlo, se si è vista una persona solo sporadicamente. Per me Carlos era innanzitutto un fantasma creato dai media. Ciò nonostante, ci sono nel film cose che riconosco. Carlos si comportava in modo solidale e responsabile con coloro che considerava rivoluzionari. Aveva una solida formazione politica ed era molto eloquente, ma era anche molto risoluto, molto dominante.
Così come viene rappresentato nel film?
Più o meno.
Per incarico del Fronte popolare per la liberazione della Palestina (Fplp), negli anni ’70 Carlos compì una serie di attentati nell’Europa occidentale. Magdalena Kopp, tedesca che veniva dalle RZ, diventò la sua compagna e Johannes Weinrich, fino alla sua cattura a metà degli anni ’90, fu il braccio destro di Carlos. Come fu possibile questa intensa collaborazione terroristica a livello internazionale negli anni ’70?
Potrebbe togliere, in questo contesto, l’aggettivo “terroristica”?
Perché? Altrimenti come la definirebbe?
All’interno delle RZ c’era un piccolo gruppo che si muoveva a livello internazionale. Ciò aveva motivi pratici, ma corrispondeva anche all’idea di sé che tanti militanti di sinistra avevano all’inizio degli anni ’70. Facevamo riferimento ai movimenti di liberazione anticolonialisti, che avevano alzato la bandiera della lotta armata. Ai palestinesi spettava un ruolo di spicco. Per le RZ la collaborazione con il Fplp era un’espressione di solidarietà internazionale, che apriva anche la possibilità di liberare alcuni detenuti politici dal carcere. Ma che noi facessimo proprie le forme di lotta delle organizzazioni palestinesi era fuori discussione. Dal punto di vista dei palestinesi i dirottamenti aerei, come quello del 1976 verso Entebbe, sembravano giustificati. Come profughi non potevano che ricorrere a forme di lotta extraterritoriali, per far valere le loro pretese.
Il film di Assayas è basato soprattutto su testimonianze dirette così come su atti giudiziari e di polizia. Mostra alcuni tedeschi, per esempio Gabriele Kröcher-Tiedemann durante l’attentato all’Opec del 1975, come estremamente fanatizzati. Lei cosa ne pensa?
Non ho conosciuto di persona Gabriele Kröcher-Tiedemann. Nel film lei reagisce prima in maniera aggressiva e poi scoppia in lacrime quando si rende conto che l’azione contro l’Opec ha mancato il bersaglio. Non mi sembra un segno di fanatismo, piuttosto di una enorme tensione che improvvisamente si scarica. Lei stessa era stata liberata dal carcere solo pochi mesi prima. Che la maggior parte degli spettatori avrà, com’è probabile, un’altra impressione, dipende anche dal fatto che il film non cerca di spiegare quel che succedeva negli anni ’70.
In parte lo fa: nel film di Assayas, le armi usate per l’assalto all’Opec furono procurate da diplomatici iracheni. Il venezuelano Carlos e le RZ tedesche insieme, al servizio di despoti arabi come Saddam Hussein e del Fplp palestinese. Cosa ne pensa oggi?
Non so nulla degli effettivi retroscena.
Ma lei ritiene plausibile che le armi per l’assalto all’Opec siano arrivate dagli iracheni?
L’obiettivo dell’azione contro l’Opec era – e questo dal film si può capire – mettere sotto pressione gli stati arabi reazionari, affinché riprendessero a sostenere la causa dei palestinesi, dopo che questi erano stati prima cacciati dalla Giordania e poi combattuti dai falangisti in Libano. Perciò posso immaginarmi che gli stati arabi allora considerati progressisti fossero interessati alla presa in ostaggio dei ministri del petrolio a Vienna. Ma non ne abbiamo mai parlato.
Si svolse un’azione su scala mondiale, che andò perfino storta, e voi all’interno non ne avete discusso?
Nel 1975 facevo parte di un gruppo regionale delle RZ che si muoveva su un terreno completamente diverso. Perciò, almeno in mia presenza, non si parlò dell’Opec. È tanto sorprendente?
Significa che queste azioni venivano giudicate positivamente?
No, non significa questo. A giudicare dall’esterno era difficile capire il senso di tutta l’operazione. La cattura degli ostaggi a Vienna fu spettacolare, ma cosa si voleva ottenere? Più tardi si disse che l’azione contro l’Opec dovette essere interrotta dopo l’atterraggio del commando con gli ostaggi a Algeri, e perciò mancò il suo obiettivo. Questo suggerisce anche il film.
L’azione non fu approvata perché non aveva avuto successo? All’epoca l’operazione contro l’Opec come tale non fu ancora messa in discussione?
Posso parlare solo per me: l’assalto all’Opec andava al di là del mio orizzonte. È vero che a Vienna c’era anche Hans-Joachim Klein, ma non sapevo ancora che lui fosse un membro delle RZ. Nel dicembre del 1975 non ero consapevole di questi retroscena. Solo dopo mi sono reso conto d’essere stato molto vicino. La maggior parte delle RZ si considerava un’organizzazione socialrivoluzionaria e non agiva nella logica dei movimenti di liberazione nazionale. Lungi da noi la distinzione tra stati buoni e cattivi. E questo atteggiamento ci ha portato, in ultima analisi, anche alla rottura con il gruppo intorno a Carlos.
Di quale periodo sta parlando?
Del periodo successivo al fallito dirottamento aereo verso Entebbe nel 1976. Questa azione comune del Fplp e delle RZ aveva come scopo la liberazione di prigionieri dalle carceri israeliane e tedesche. Ma tale scopo non fu raggiunto, e il commando con i membri delle RZ Brigitte Kuhlmann e Wilfried Böse fu ucciso. In seguito, le RZ misero in discussione la collaborazione pratica con le organizzazioni palestinesi, e forme d’azione come i dirottamenti aeri.
All’inizio degli anni ’70, lei ha lavorato nella “Libreria politica” (Politischer Buchladen) a Bochum, come prima anche Johannes Weinrich. Una scena del film mostra come Weinrich debba prestare aiuto a un commando palestinese. Il commando del Fplp tentò di colpire con un missile un aereo civile israeliano all’aeroporto di Orly. Lei conosceva bene Weinrich?
La prima volta che Weinrich finì in prigione, all’inizio del 1975, pensai che si trattasse di un errore giudiziario. Non riuscivo a immaginarmi che c’entrasse qualcosa con l’attentato. Conoscevo i testi delle RZ e le azioni di cui si erano dichiarate responsabili, la cui gamma andava dai biglietti della metropolitana contraffatti fino a bombe contro filiali di multinazionali come l’ITT (società Usa coinvolta nel golpe in Cile; n.d.t.), passando per attentati incendiari alle auto di speculatori immobiliari che rincaravano gli affitti. Che le RZ avessero anche un’altra dimensione lo si poteva sì leggere fra le righe, ma senza capire di cosa praticamente si trattasse. L’altra dimensione era completamente inaccessibile. Non se ne discuteva con tutti. E lo accettai.
Perché lo accettò?
Nelle organizzazioni che operano clandestinamente c’è una contraddizione tra la necessaria riservatezza e il bisogno di trasparenza. Questa contraddizione, alla fine, può essere risolta soltanto attraverso la fiducia che si ha nei confronti di persone che da più tempo fanno parte del gruppo o che sono politicamente più esperte di te. All’epoca non avevo motivo di diffidare di Weinrich, sebbene sicuramente sapessi solo per frammenti di cosa lui si occupasse.
Molte scene del film mostrano tedeschi in campi di addestramento palestinesi. Ha fatto anche lei un addestramento militare nei campi del Fplp?
All’inizio del 1976 ci fu un addestramento al quale parteciparono anche appartenenti alle RZ. Ne parla Magdalena Kopp nel suo libro, e anche Hans-Joachim Klein lo menziona. Fu solo poche settimane dopo l’azione contro l’Opec. I resoconti dei partecipanti sul periodo trascorso nel campo sono molto diversi tra loro. Alcuni si sentivano a loro agio nel campo. Nella Rft si era continuamente braccati. Inoltre nel campo si relativizzavano tanti problemi con cui si tormentavano i gruppi armati in occidente. Di fronte ai racconti dei combattenti palestinesi, che erano in fuga o vivevano in campi profughi, i propri dubbi apparivano banali. Ciò ebbe sicuramente anche un forte impatto sulle idee politiche e spiega, non da ultimo, perché alcuni si decisero per azioni come l’Opec o Entebbe. Poi c’erano anche altri che trovavano insensato quell’addestramento militare, che non riuscivano a capire perché dovessero strisciare carponi sulla sabbia. Là si scontravano quindi anche mondi diversi.
Weinrich restò, fino alla sua cattura a metà degli anni ’90, il compagno più fedele di Carlos. Lei l’ha rivisto dopo la scissione delle RZ in una minoranza che continuava a lavorare con Carlos e una corrente principale del gruppo, alla quale lei apparteneva, che rifiutava tale collaborazione?
A mio avviso non c’è stata una scissione di questo tipo. Lo si è spesso detto, resta però sbagliato. Direi piuttosto che nella discussione sulla fallita liberazione dei prigionieri, il dirottamento dell’aereo a Entebbe nel 1976, scoppiò un diverbio su come reagire, che portò a una temporanea rottura. Ci furono per un certo periodo due raggruppamenti nelle RZ, che divergevano sul cosa fare praticamente dopo Entebbe. Tuttavia rimase un contrasto teorico perché, per fortuna, i terribili piani di vendetta di una frazione furono resi impraticabili dall’altra. Che prima Johannes Weinrich e poi anche Magdalena Kopp si siano uniti al gruppo attorno a Carlos non ha tuttavia nulla a che fare con questa disputa nelle RZ. Decisivi per la loro scelta furono piuttosto gli sviluppi dell'”autunno tedesco” del 1977 nella Rft, dopo l’offensiva della Rote Armee Fraktion e dopo i morti nel carcere di Stuttgart-Stammheim. E la morte del dirigente del Fplp Wadi Haddad nell’aprile 1978 ha sicuramente avuto anche un peso.
Alla fine degli anni ’70 Carlos fondò un suo gruppo. Lei quando l’ha incontrato l’ultima volta?
Mi incontravo con Weinrich e Kopp. All’inizio degli anni ’80 ci raggiunse per l’ultima volta anche Carlos, che non si trattenne a lungo.
Quale fu lo scopo di quell’incontro?
Tra il 1976 e il 1978 Carlos uscì dal Fplp e creò un gruppo che si chiamava Gruppo dei rivoluzionari internazionali. Questo gruppo, cui si erano uniti Weinrich e Kopp, si proponeva di costruire una rete globale delle più diverse organizzazioni armate. Si trattava soprattutto di un reciproco appoggio logistico. Il gruppo aveva basi in diversi paesi dell’est e arabi.
Sapeva che il gruppo Carlos intratteneva rapporti così stretti con le autorità di quegli stati?
Non lo sapevo, ma non riuscivo neppure a immaginarmi che il gruppo potesse godere di tanta libertà di manovra senza appoggi statali. Sulla questione Weinrich e io avevamo posizioni assai diverse. Johannes Weinrich continuava a pretendere di essere un membro delle Cellule rivoluzionarie, e si considerava come rappresentante delle Rz nel gruppo Carlos. Questa sua pretesa faceva a pugni con le discussioni che allora si conducevano all’interno delle RZ.
Alle fine degli anni ’70, inizio anni ’80, le RZ dovettero reinventarsi, riformulare la loro politica. Ciò comportava anche il ritrarsi dalla rete internazionale. Volevano di nuovo richiamarsi in modo più stretto alle lotte sociali nella Repubblica federale tedesca, al movimento contro le centrali nucleari, alle lotte per la casa, al movimento femminista. Molti avevano abbandonato il gruppo in seguito agli sviluppi tra il 1976 e il 1978. Altri erano in carcere, “bruciati”, clandestini o morti. Solo alcuni avevano ancora i vecchi contatti. Pertanto quando l’interprete di Weinrich dice nel film di avere dietro di sé una quarantina di aderenti alle Cellule rivoluzionarie, non fa che esprimere una sua illusione. Era vero il contrario: il gruppo rifondato, da parte sua, aveva rotto questi contatti.
Le Cellule rivoluzionarie rigettarono quindi il progetto di una lotta internazionale, antimperialista. Praticarono da allora attentati meno spettacolari sul territorio nazionale. Alla fine degli anni ’70, dopo il disastro delle fase iniziale e azioni di sapore antisemita, nessuno propose semplicemente di sciogliere il gruppo?
Si alzarono anche queste voci. A me stava però a cuore una continuità dei gruppi armati. Dimostrare che sono in grado di autocorreggersi, senza dover necessariamente scivolare nell’escalation militare, come spesso si pensa. Per motivi personali non interruppi del tutto il contatto con Johannes Weinrich e Magdalena Kopp. Ma il conflitto con loro si accentuò. La loro idea di un gruppo che opera nel vuoto, e dipende dall’essere almeno “tollerato” dagli stati, si scontrava frontalmente con l’impostazione socialrivoluzionaria delle RZ. All’inizio il gruppo Carlos cercò di destreggiarsi tra i diversi stati, puntando sull’uno contro l’altro per conservare una propria autonomia. Ma non mi convinse, e del resto non ha funzionato.
Kopp e Weinrich agivano in ambito arabo, parlavate di Israele?
No, tra noi non era un tema. L’orientamento politico del gruppo Carlos non mi era chiaro. Le nuove RZ avevano abbandonato il piatto antisionismo degli anni ’70.
Hans-Joachim Klein, uno degli attentatori di Vienna, ha una parte molto autocritica nel film di Assayas. Klein aveva abbandonato le RZ negli anni ’70, e solo nel 1998 fu rintracciato e arrestato in Francia. Come lo trova rappresentato?
Dopo il suo arresto nel 1998, contrariamente a tutte le sue assicurazioni precedenti, non esitò a deporre pesantemente a carico di un ex compagno di lotta per migliorare la propria posizione. Il film di Assayas mostra una figura idealizzata di Klein. Di tutti i membri delle RZ che appaiono nel film, Klein è l’unico a non aver perso né la ragione né la morale. Solo lui avanza tempestivamente obiezioni sull’Opec e su Entebbe. Peccato che non l’abbia mai fatto nelle RZ. Sostiene di non averlo potuto fare perché gli sarebbe costata la testa. Una scena del film ambientata in Val d’Aosta fa pensare che ci fosse un piano per ucciderlo. In quel momento aveva ancora il pieno sostegno delle RZ. La pistola che mandò allo Spiegel nell’aprile 1977, se l’era fatta portare poco prima da persone delle RZ. Se vuoi ammazzare qualcuno, gli dai un’arma in mano?
Notoriamente il gruppo Carlos ha fatto fuori anche altre persone, che considerava traditori.
Ma lui non voleva lasciare il gruppo Carlos, che nel 1977 ancora non esisteva, bensì il Fplp di Wadi Haddad.
Il Fplp non ammazzava i traditori?
Carlos, perlomeno, riuscì ad abbandonare il dipartimento “operazioni esterne” del Fplp (la branca diretta da Wadi Haddad; n.d.t.) senza essere ammazzato.
Quindi lei pensa che tutto si riduca a una proiezione paranoide di Klein?
Credo che Klein, accordandosi col Fplp e le RZ, avrebbe potuto scegliere un’altra strada. Invece ha voluto mettere in scena la sua fuoriuscita, con l’aiuto degli spontaneisti di Francoforte e dello Spiegel. A Francoforte c’era all’epoca un ambiente spontaneista che in primo tempo era vicino alle RZ. Loro stessi avevano avuto delle brutte esperienze con la propria militanza nel 1976, per cui esortarono le RZ “a deporre le armi”. Usarono Klein per la loro critica ai gruppi armati.
Negli anni ’80 le RZ si volsero espressamente contro l’antiamericanismo e un piatto antimperialismo di sinistra. Allo stesso tempo, però, coprivano i loro (ex) compagni di lotta che lavoravano per gruppi terroristici palestinesi. Come si conciliano le due cose?
Avremmo dovuto prendere pubblicamente le distanze da quelle persone? E come avremmo potuto prenderle senza fare il gioco della parte sbagliata? Le RZ decisero diversamente: troncarono i contatti, cercando allo stesso tempo di definire in modo inequivocabile la propria linea di condotta. È quanto emerge chiaramente da una serie di testi delle RZ, dal n. 6 del Revolutionäre Zorn (“Ira rivoluzionaria”, il foglio illegale del gruppo; n.d.t.), dal documento sul movimento per la pace, eccetera.
Nel 1991 un gruppo delle RZ pubblicò il documento “Gerd Albartus ist tot” (Gerd Albartus è morto), dando così notizia dell’assassinio di un compagno di lotta, Gerd Albartus, ucciso nel 1987 per mano dei palestinesi o del gruppo Carlos. Sembra che lei, Kram, abbia redatto il documento. Perché ci vollero quattro anni prima che il suo gruppo reagisse all’omicidio di Albartus?
Perché noi stessi venimmo a sapere della sua morte solo anni dopo. Gerd Albartus era andato a Damasco per incontrare il gruppo Carlos. Quando non tornò dal viaggio, pensammo che si fosse eclissato. Nello stesso periodo la caccia ai membri delle RZ nella Rft si era intensificata.
Ci sono degli indizi sul perché sia stato ucciso?
Un motivo – confermato dalla Kopp con diverse varianti – era che Albartus continuava a avvalersi di contatti nella Stasi, anche quando il gruppo di Carlos era già da tempo non più gradito nei paesi del blocco orientale. Per questo venne considerato un traditore. Paradossalmente proprio Gerd nel 1985 aveva organizzato l’espatrio di Magdalena dalla Germania attraverso i paesi dell’est. Inoltre lo si accusava di ricerche poco accurate e di essersi messo in tasca del denaro. E poi anche la sua omosessualità! Credo si possa fondatamente supporre che, in gruppi che hanno perso il contatto con la realtà sociale, un comportamento anticonformista appaia comunque sospetto e venga nel peggiore dei casi punito. La sua morte riaccese tra noi, nel 1990, la vecchia discussione su Entebbe e l’Opec. La discussione portò a un bilancio critico di tutta la politica delle RZ.
In seguito le RZ si sciolsero all’inizio degli anni ’90. Il gruppo Carlos non avrebbe potuto esistere senza appoggio logistico dagli stati del blocco orientale e il sostegno di dittature arabe. Vale anche per lei, e la cosiddetta guerriglia del dopolavoro, che costituiva l’ala di maggioranza di questa formazione armata nella vecchia Repubblica federale tedesca?
La discussione all’inizio degli anni ’80 comportò anche che le RZ si resero completamente autonome sul piano logistico. Volevamo renderci indipendenti da ogni contatto ambiguo. Fu parte della rottura.
Quindi lei non ebbe altri contatti con la Rdt o altri stati del blocco orientale?
No, per fortuna, perciò non sono stato trovato e catturato dopo il 1989-90. Per molti anni ero sparito dalla circolazione. Nel 2006 mi sono costituito volontariamente, dopo che le sentenze del processo berlinese contro le RZ erano passate in giudicato. Mi sentivo come il fossile di una storia che, in questa forma, era giunta alla fine.
Il 4 novembre uscirà il film su Carlos. Lei cosa ne pensa?
A prima vista il film risulta difficilmente attaccabile. È avvincente e dà l’impressione di attenersi ai fatti. Tuttavia molte cose sono sbagliate: Klein non era l’unico pensatore sincero e critico delle RZ. E le donne disponevano di possibilità ben diverse da fanatismo, mancanza di scrupoli o arti di seduzione. Purtroppo Assayas giudica gli anni ’70 secondo parametri odierni, sforzandosi poco di cogliere il clima del tempo. Soprattutto sembra volerci dire che tutto quel che cominciò come utopia, prima o poi finisce nel terrore. A giudicare dal film, la storia delle RZ sembrerà un puro orrore. Ma non lo è. Pertanto mi augurerei che la gente vedesse il film come spunto per poi scavare più a fondo. La parte essenziale della storia delle RZ non viene proprio trattata, e del resto non è possibile parlarne attraverso la figura di Carlos.
© die tageszeitung
(Traduzione di Guido Ambrosino)