di Guido Ambrosino
Berlino – «Devo deludere i segugi della commissione Mitrokhin, che mi sospettano di aver messo, per conto dei palestinesi, la bomba alla stazione. Ero a Bologna, ma questo è tutto. Quando mi diressi verso la stazione per prendere un treno per Firenze, il piazzale era già invaso dai mezzi di soccorso. Ricordo lo sgomento, le sirene». È Thomas Kram a parlare, per la prima volta con un giornalista da quando, nel dicembre 2006, si è consegnato alla magistratura tedesca.
Si era sottratto all’arresto per 19 anni. Lo cercavano dal 1987 per partecipazione alle Revolutionäre Zellen (Rz), le «Cellule rivoluzionarie»che praticarono negli anni ’70 e ’80 una guerriglia di sabotaggi e danneggiamenti incruenti, con tre sciagurate eccezioni: tre uomini colpiti alle gambe. Uno di loro, Karry, ministro dell’economia in Assia, morì dissanguato. Prescritto il primo mandato di cattura, nel 2000 ne arrivò un secondo, per un ruolo «dirigente» nelle Rz, senza addebiti specifici.
Kram è a Berlino, in libertà provvisoria. A luglio la procura federale ha chiesto il rinvio a giudizio. Un «testimone della corona», che ammette di non conoscerlo, ne avrebbe sentito parlare come autore di documenti politici delle Rz. Kram, in attesa del processo, non si pronuncia sulla sua appartenenza alle Cellule rivoluzionarie. Vuole però dire la sua su Bologna.
Il polverone Mitrokhin
«Ho scoperto su internet che la bomba potrei averla messa io. Un’assurdità, sostenuta addirittura da una commissione d’inchiesta del parlamento italiano, o meglio dalla sua maggioranza di centrodestra, nel dicembre 2004. Deputati di An, e altri critici delle sentenze che hanno condannato per quella strage i neofascisti Fioravanti e Mambro, rimproverano agli inquirenti di non aver indagato sulla mia presenza a Bologna». Per Kram è una polemica pretestuosa: «Non sono io il mistero da svelare. Non lo credono nemmeno i commissari di minoranza della Mitrokhin. Viaggiavo con documenti autentici. La polizia italiana mi controllava, sapeva in che albergo avevo dormito a Bologna, il giorno prima mi aveva fermato a Chiasso. Come corriere per una bomba non ero proprio adatto».
La commissione d’inchiesta sul dossier Mitrokhin si occupò nella scorsa legislatura delle attività del Kgb in Italia, e di varie mitologie sul terrorismo. Nelle conclusioni di maggioranza c’è un capitolo su «Thomas Kram e la strage alla stazione di Bologna». Vi si ipotizza una «ritorsione» per l’arresto nel novembre 1979 di Abu Saleh, esponente del Fronte popolare per la liberazione della Palestina (Fplp), in seguito al sequestro a Ortona di due missili terra-aria diretti in Libano. La rappresaglia sarebbe stata appaltata a Carlos. Possibili esecutori, Thomas Kram e Christa Fröhlich.
Senonché Kram non è mai stato sospettato dalla magistratura tedesca di appartenere al gruppo Carlos. Fröhlich, indagata ma mai condannata per aver fatto parte di quel gruppo, a Bologna non c’era. «Delle due l’una», obietta Kram: «Se mi si accusa di aver fatto parte delle Cellule rivoluzionarie, che hanno rifiutato il terrorismo indiscriminato, non mi si può sospettare di avere ucciso 85 persone a Bologna. Quella strage, quali ne siano gli autori, resta per me ‘fascista’, per il disprezzo della vita che esprime. Quella di cinque settimane dopo all’Oktoberfest di Monaco porta la stessa firma».
Carte segrete
Già la premessa del teorema è illogica. Il Fplp, tanto più dopo l’«incidente» di Ortona, non aveva alcun interesse a una guerra aperta con l’Italia. Né regge il «legame» tra Carlos e Kram. I mitrokhisti si appoggiano a un rapporto della Stasi, conosciuto tramite un resoconto della polizia francese, che descriverebbe Kram come membro del gruppo Carlos. E i servizi ungheresi segnalano un incontro a Budapest, il 27 ottobre 1980, tra Carlos, «Laszlo» (forse Kram) e «Heidi» (forse Fröhlich). Ma per gli ungheresi Kram non apparteneva al gruppo Carlos, a differenza di quanto invece affermano per Johannes Weinrich, Magdalena Kopp e Christa Fröhlich.
La Stasi può sbagliare. Sappiamo – da documenti delle Rz, resoconti di militanti, carte processuali – che all’inizio le Rz ebbero contatti con il Fplp e Carlos. Sappiamo però anche che dopo Entebbe, dove nel 1976 morirono tra i dirottatori di un aereo due militanti delle Rz, i contatti si interruppero. Ne seguì nel 1977 una scissione. Gli «internazionalisti» attorno a Weinrich abbandonarono le Rz per unirsi a Carlos.
Non si può escludere che ci siano stati ancora incontri, come quello di Budapest registrato dagli ungheresi. È un peccato che non se ne trovi la trascrizione, perché ci si può incontrare anche per litigare.
Un viaggio in Italia
Agosto, tempo di vacanze. Kram voleva rivedere amici conosciuti a Perugia dove aveva frequentato due corsi d’italiano, dal settembre al dicembre 1979, e dal gennaio al marzo 1980. «A Milano mi aveva invitato un’austriaca, che lì insegnava tedesco. Avrei pernottato da lei e il giorno dopo avrei proseguito per Firenze».
«Arrivato a Chiasso il primo agosto ‘alle ore 12,08 legali’, secondo le note della polizia riportate dalla relazione di minoranza della Mitrokhin, mi fecero scendere dal treno. Dovevano avere avuto una segnalazione dalla Germania». Sin dal novembre 1979, quando soggiornava a Perugia, Kram era sorvegliato in Italia su richiesta del Bundeskriminalamt, che lo sospettava di favoreggiamento delle Cellule rivoluzionarie. «Mi trattenero per ore. Mi sequestrarono una lettera dell’amica, che spiega il motivo del viaggio. L’appuntamento con lei a Milano saltò. Non riusciì a rintracciarla. Ripresi il treno per Firenze, ma sarei arrivato troppo tardi per trovare un albergo. Decisi di fermarmi a Bologna».
All’albergo Centrale, in via della Zecca 2, è registrato l’arrivo. Su una piantina di Bologna, Kram ricostruisce il percorso del giorno dopo: «Mi svegliai tardi, feci colazione in qualche caffè vicino Piazza Maggiore. Poi mi incamminai verso la stazione su una grande strada, forse via dell’Indipendenza. Le sirene tranciavano l’aria. Da lontano vidi sul piazzale della stazione il lampeggiare di ambulanze e mezzi dei pompieri. Si capiva che era successo qualcosa di grave».
«Non mi avvicinai. Dopo l’esperienza del giorno prima a Chiasso non volevo incappare in nuovi controlli di polizia. Un taxi mi portò alla stazione delle autocorriere. A Firenze arrivai in pullman. Rimasi forse quattro, cinque giorni. Poi tornai in Germania».
Nato a Berlino il 18 luglio 1948, Kram ha 59 anni. Alto, magro, capelli grigi e occhiali, potrebbe sembrare un insegnante. Non ha mai potuto esserlo. «Ho studiato pedagogia a Berlino, ma sono incappato nel Berufsverbot. Willy Brandt nel 1972 escluse dal pubblico impiego chi non desse garanzie di lealtà alla costituzione. Nel mio caso bastò un corteo ‘sedizioso’ contro la guerra in Vietnam, e il danneggiamento di un cartello stradale: avevo ribattezzato la Wittenbergplatz in ‘Sentiero Ho Chi Minh’. In Nordreno-Vestfalia mi accettarono per il tirocinio, ma non fui assunto. Nel 1974 subentrai a Johannes Weinrich nella gestione della ‘Libreria politica’ a Bochum». La colleganza libraria con Weinrich, che qualche anno dopo si unì a Carlos, alimentò poi i sospetti nei confronti di Kram.
Nel ’76 Kram fu incarcerato per una settimana per la diffusione di scritti che «incitavano alla violenza». La libreria nel ’78 non poteva più pagargli lo stipendio. L’ufficio del lavoro gli finanziò un impiego in un centro della Gioventù cattolica, come educatore. Ma Kram continuava a sentirsi controllato dalla polizia e voleva cambiare aria. Lasciò la casa di Bochum, vendette l’auto, e con quei soldi si iscrisse al corso d’italiano a Perugia.
«Anche la polizia italiana mi teneva d’occhio. Perquisirono l’appartamento che dividevo con altri studenti. Mi ammonirono perché non avevo chiesto il permesso di soggiorno. Me lo concessero solo fino al marzo 1980, al termine dei corsi». In primavera Kram torna in Germania, da amici a Duisburg. Da lì riparte per il breve viaggio che lo porterà anche a Bologna.
Su internet Kram si è imbattuto in due interviste rilasciate da Carlos. La prima, del 2000 a Il Messaggero, accenna a «un compagno» che, braccato dalla polizia, salta giù dal treno a Bologna pochi minuti prima che scoppiasse la bomba: «Ci chiedemmo se non fosse lui che doveva morire in quell’esplosione».
I fantasmi di Carlos
Sull’argomento Carlos tornò nel 2005 sul Corriere della sera, che lo interpella sulla «pista» scovata dalla Mitrokhin. Si rifà a un «rapporto scritto» ricevuto dopo la strage: «Il rapporto dice che un compagno tedesco era uscito dalla stazione pochi istanti prima dell’esplosione. Ho ricordato il suo nome leggendo il Corriere: Thomas Kram, un insegnante comunista di Bochum, rifugiato a Perugia. Il giorno prima della strage era a Roma, pedinato da agenti segreti che lo seguirono anche sul treno per Bologna. Kram aveva solo un sacchetto di plastica con oggetti personali, ma se fosse morto nell’attentato sarebbe stato facile attribuirgli ogni colpa». L’intervistatore insiste: «Kram era un suo uomo?». Risposta: «Kram non è mai stato membro della nostra organizzazione».
«L’unica cosa giusta che dice Carlos – commenta Kram – è che non ho mai fatto parte del suo gruppo, altrimenti non avrebbe avuto bisogno di resoconti di terza mano. Ricorda il mio nome leggendo i giornali. Non arrivai a Bologna ‘pochi minuti prima dell’esplosione’. Venivo da Milano e non avevo motivo di saltare dal treno in corsa. Avevo non so più se una borsa o una valigia, perquisita a Chiasso. Né potevo essere una vittima ‘predestinata’: nemmeno io sapevo, fino alla sera del primo agosto, che mi sarei fermato a Bologna, e non a Milano».
Storie nere
La «nuova ipotesi» tedesco-palestinese viene riproposta nel libro di Andrea Colombo, Storia nera. Bologna, la verità di Francesca Mambro e Valerio Fioravanti. Scrive Colombo, per molti anni redattore del manifesto: «È necessario esaminarla in tutti i suoi dettagli non solo perché è la più recente tra le ‘piste alternative’, ma anche per il fatto che è forse l’unica che possa ancora essere approfondita».
L’approfondimento di Colombo si riduce a un paio di forzature. Di Kram si dice che «la sua attività di terrorista» era stata segnalata sin dall’agosto 1977. Ribatte Kram: «Le segnalazioni si riferivano a sospetti di favoreggiamento. Il primo mandato di cattura per le Rz è del dicembre 1987».
Scrive ancora Colombo: «Dopo 27 anni di latitanza Kram si è costituito nel dicembre 2006». Replica Kram: «Se la latitanza fosse durata tanto, sarebbe iniziata nel dicembre 1979, quando ero a Perugia. Chi scrive nel 2007 vuole suggerire una mia fuga a ridosso della bomba di Bologna. Mi sono reso irreperibile sette anni dopo. È un errore che Colombo dovrebbe rettificare».
Tra l’80 e l’87 Thomas Kram è stato sempre reperibile. A Duisburg ha lavorato dal febbraio 1981 al febbraio 1982 in uno studio legale. Poi, a Essen, ha frequentato un corso di informatica dal gennaio 1984 al giugno 1985. Nel 1986 trovò un lavoro in quel settore a Amburgo, e vi si traferì. I detektiv della Mitrokhin sembrano credere che a Bologna ci fosse anche Christa Fröhlich. Fu fermata a Fiumicino il 18 giugno 1982, con 3,5 chili di esplosivo nella valigia. La stampa pubblicò la sua foto. Un cameriere dell’hotel Jolly vi ravvisò una «certa somiglianza» con una donna vista quasi due anni prima: parlava italiano con accento tedesco, il primo agosto si era fatta portare una valigia alla stazione, il 2 agosto telefonò per accertarsi che i suoi due figli non fossero sul treno investito dalla bomba, aveva lavorato come ballerina nei pressi di Bologna.
Christa Fröhlich ha ora 64 anni, insegna tedesco a Hannover. Confrontata con questa descrizione, non sa se ridere o piangere: «Non ero a Bologna. Non ho figli. Mai un ingaggio da ballerina. E nel 1980 non sapevo una parola di italiano».
L’ha imparato dopo, in carcere, dove ha scontato fino al dicembre 1988 la pena per quel trasporto di esplosivo, senza rivelare a chi fosse destinato. Tornata a Hannover, sposò per procura un detenuto delle Brigate rosse. In Germania fu indagata per gli attentati in Francia del gruppo Carlos, ma l’inchiesta fu archiviata. La magistratura francese continuò a sospettarla per l’attentato del 22 aprile 1982 a Parigi, contro il settimanale Watan al Arabi. Nell’ottobre 1995 approfittò di una sua visita al marito per farla arrestare a Roma e estradare. In assenza di prove, la rilasciarono quattro anni dopo, termine massimo per la carcerazione preventiva.
I commissari di minoranza constatano che, già nell’ottobre 1982, gli accertamenti sul fantomatico avvistamento della Fröhlich a Bologna «ebbero esito negativo». Perché riproporre quell’abbaglio come «nuova» pista?
Rogatoria internazionale
Neanche i parlamentari di An insistono più sulla ballerina-mamma-terrorista. Interpellano però il ministro della giustizia per sapere perché la procura di Bologna non ha ancora interrogato Kram. Abbiamo girato la domanda al sostituto procuratore Paolo Giovagnoli: «A febbraio, con una rogatoria internazionale, abbiamo chiesto alla procura federale di Karlsruhe di poter interrogare Thomas Kram. A fine giugno ho incontrato una collega tedesca per chiarire alcuni aspetti organizzativi. Ci sono molte carte da tradurre. Ci vorrà ancora qualche mese».
Kram non ha nulla in contrario a essere ascoltato su Bologna. Non servirà a spiegare cosa è successo alla stazione, ma forse a cestinare l’ultimo depistaggio.
P.S. Devo una precisazione su questa intervista del 1. agosto 2007. Siccome non sono pratico della topografia di Bologna, in due passaggi ho equivocato, o mal «collocato», il racconto di Thomas Kram. Un terzo passaggio, che avrebbe facilitato l’orientamento, cadde vittima di un taglio. Non ho registrato l’intervista, ma conservo gli appunti presi allora, che sono andato a controllare, e mi consentono ora di rettificare.
Nel testo pubblicato si legge: «Poi mi incamminai verso la stazione su una grande strada, forse via dell’Indipendenza. Le sirene tranciavano l’aria. Da lontano vidi sul piazzale della stazione il lampeggiare di ambulanze e mezzi dei pompieri. Si capiva che era successo qualcosa di grave». Lettori bolognesi mi fecero notare che da via dell’Indipendenza non si vede il piazzale della stazione, a meno di non arrivare proprio alla fine della via. In effetti la localizzazione di quei mezzi di soccorso «sul piazzale della stazione», negli appunti non c’è. Dev’essere stata una mia inconsapevole aggiunta. L’impressione visiva della foto con i mezzi di soccorso su quel piazzale, foto che conoscevo e che avevo segnalato alla redazione per illustrare l’intervista, mi ha giocato un brutto scherzo: si è sovrapposta nella mia mente al racconto di Kram.
Il testo continua: «Non mi avvicinai. Dopo l’esperienza del giorno prima a Chiasso non volevo incappare in nuovi controlli di polizia. Un taxi mi portò alla stazione delle autocorriere. A Firenze arrivai in pullman». Da Bologna arrivò una seconda obiezione, legata alla prima: Ma se Kram era arrivato in fondo a via Indipendenza (per poter vedere i mezzi di soccorso sul piazzale), che se ne faceva di un taxi? La stazione delle corriere è a due passi da quel punto.
Negli appunti la «stazione delle autocorriere» non c’è. Deve essere stata una mia seconda aggiunta, perché in genere, in ogni città, da lì si parte. Credo di ricordare che Kram, dopo i tanti anni trascorsi da quella sua giornata bolognese, si sia espresso in modo più generico: «Cercai un taxi, e mi feci portare a una fermata dei bus per Firenze».
Negli appunti trovo solo la schematica sequenza: «Sono tornato indietro/Con bus Firenze».
Ricordo che per esigenze di spazio dovetti radicalmente accorciare la prima stesura dell’intervista. Quel «sono tornato indietro», cioè verso Piazza Maggiore da dove Kram proveniva, è caduto vittima di un taglio: così non si capisce più che la ricerca del taxi avvenne in centro, quando Kram si era già allontanato dalla stazione. Dal centro un taxi gli sarebbe servito, sia per raggiungere la stazione delle autocorriere, di cui comunque Kram ignorava l’ubicazione (magari con un percorso diverso da via Indipendenza), sia per altre fermate. Adesso alcune linee a lunga percorrenza fermano vicino all’autostrada senza entrare in città. Forse accadeva anche trenta anni fa.
L’accorrere di mezzi di soccorso e della polizia Kram può averlo osservato da qualunque punto di via dell’Indipendenza, se i mezzi sono sopraggiunti anche lungo quell’asse.
La colpa degli equivoci «topografici» è tutta mia, e me ne rammarico.
Guido Ambrosino
28 luglio 2013