di Michele De Palma
Ho ascoltato gli avvocati della Fiat in molte udienze nei vari procedimenti legali tesi a far cessare le discriminazioni, a impedire licenziamenti di nostri iscritti e delegati e a far riconoscere alla direzione aziendale la libertà delle lavoratrici e dei lavoratori. Potrei scrivere della rabbia che ti sale dentro mentre ascolti ricostruzioni false e tesi arroganti, ma ascoltare dinnanzi alla Corte Costituzionale i legali rappresentanti della Fiat dire: “Quali diritti negati, i lavoratori hanno diritto di parola” e ancora “i diritti sindacali hanno un carattere premiale dell’impresa” mi ha chiarito ulteriormente a quale livello e quali prospettive apre o chiude lo scontro che il maggiore gruppo privato ha intrapreso coi lavoratori e con le istituzioni democratiche.
C’è ancora chi sostiene che Fiat sia un’eccezione, una anomalia, e quindi prova a ridimensionare la portata degli accadimenti. C’è chi lo riduce a uno scontro personalistico tra due uomini con la testa dura, chi a uno scontro tra passato e futuro, vecchio e nuovo, nonostante puntualmente i fatti abbiano la testa dura e ci dicono che si sta scrivendo la storia attuale e futura anche se non lo si vuol riconoscere, si vuol mettere la testa sotto la sabbia.
Chi ne ha consapevolezza sono i metalmeccanici, in particolare i delegati e gli iscritti della Fiom, i veri protagonisti di una vittoria che ora costringe la Fiat a misurarsi con la Costituzione, impone a tutti – Confindustria, parlamento, partiti e sindacati – di confrontarsi con la questione democratica. Senza la resistenza dei delegati e dei lavoratori non saremmo mai arrivati alla sentenza della suprema Corte che segna uno spartiacque: non si possono cancellare i diritti perché non si è concordi, complici dell’impresa.
Le azioni legali erano e sono propedeutiche all’azione sindacale. Oggi il tema da discutere è il futuro occupazionale e produttivo di ogni singolo stabilimento a partire da Termini Imerese e dall’Irisbus, passando per Mirafiori e Cassino, che di fatto sono senza una missione produttiva. Tornare alla negoziazione e alla contrattazione è il punto. Sicurezza e salute, orario e salario non possono essere una concessione dell’impresa. La direzione aziendale deve applicare le sentenze a partire da quella sul reintegro al lavoro dei tre iscritti Fiom a Melfi, fino a quella contro le discriminazioni a Pomigliano.
Lo scontro con la proprietà della Fiat è la metafora di una condizione del Paese che interroga tutti, in primis la politica. E’ interesse generale non cedere ai ricatti e impedire la cancellazione della democrazia, è interesse generale investire nella mobilità pubblica e privata compatibile con l’ambiente. Per questa ragione la Fiom Cgil il 28 giugno ha scioperato e manifestato a Roma, ha promosso la “notte bianca” a Pomigliano, presidiato la Sevel. La Fiat ha provato in tutti i modi a negare l’esistenza della Fiom, ma la sentenza della Corte Costituzionale e la forza degli iscritti e dei delegati impone alla direzione aziendale di abbandonare l’unilateralismo e alle organizzazioni sindacali firmatarie di fare un passo indietro per riconsegnare alle lavoratrici e ai lavoratori di tutto il gruppo Fiat il diritto di cui sono i primi titolari, quello di poter decidere sul proprio lavoro e sulla propria vita.