di Valentino Parlato
Non è una provocazione, piuttosto un’autocritica. Il fatto è che il mio modo di reagire alle sconfitte del movimento operaio mi fa venire il dubbio di essere diventato un luddista. Luddismo – leggo la Treccani – “è così detta la prima fase del movimento operaio britannico, caratterizzata da violenta reazione contro l’introduzione delle macchine e la conseguente disoccupazione”.
Il mio timore è che le attuali lotte siano, anche queste, contro i rilevanti cambiamenti nei modi di produzione, ma alla vecchia maniera. Il punto è che la storica fabbrica fordista non c’è più e noi di sinistra lo ignoriamo. Vale qui ricordare che un apprezzato studioso come Marco Revelli, nel suo libro Finale di Partito fa dipendere addirittura la dissoluzione dei partiti politici proprio dal tramonto della fabbrica fordista. “A ben guardare – scrive Revelli – l’esplosione dei partiti si ricollega, sia pure in una congiuntura temporale apparentemente sfasata, al superamento dell’organizzazione fordista massificata”.
Insomma, qualificarsi “luddisti”, forse è una provocazione, ma la necessità di studiare i cambiamenti nei modi di produzione nelle tecnologie, nel mercato globalizzato è davanti a noi e noi non lo mettiamo al centro della nostra attenzione. E poi non dimentichiamo che nel costo complessivo di un prodotto si è ridotto il peso del costo del lavoro, e ricordiamoci che anche Marx prevedeva una riduzione del peso del lavoro vivo.
Leggete e non mandatemi al diavolo…
Questo articolo è stato pubblicato dalla Fondazione Luigi Pintor