di Sergio Caserta
La maestra di scuola materna comunale Emy Pacilli, con la spontaneità e la timidezza che può provare una neofita a parlare sul palco di una sala strapiena, descrive la sua difficoltà a comprendere gli stravolgimenti che stanno avvenendo nella scuola pubblica bolognese, il senso d’imbarazzo e insicurezza del suo lavoro, che considera a rischio nel processo di mutazione contrattuale innescato della scelta del Comune di trasferire tutta la gestione del proprio personale alla ASP (ovviamente per risparmiare sul costo del lavoro).
Emy lavora con orgoglio da tredici anni nella scuola comunale, pur se con un contratto a termine rinnovato a ogni scadenza, e proprio non riesce a comprendere perché sia indispensabile da parte del Comune rinunciare alla gestione di un servizio così importante per la comunità, onore e vanto della Bologna d’avanguardia in tutt’Italia.
Il teatro Testoni è gremito, 450 posti a sedere ma ci sono almeno il doppio delle persone, viene letto in apertura il messaggio di Stefano Rodotà che, pur non potendo partecipare all’incontro per sopravvenuti impedimenti, conferma tutto il suo convinto sostegno al referendum del 26 maggio. All’inizio viene proiettato uno spezzone della “Febbre del fare”, il bellissimo film di Mellara e Rossi che rievoca con grande pathos la Bologna di Dozza e Fanti: in quegli anni furono gettate le basi della città “civile e produttiva” che, tra le tante realizzazioni, in primo luogo si distinse proprio per la dotazione di scuole materne a servizio della famiglie di lavoratrici e lavoratori, col risultato che a Bologna ed in Emilia il tasso d’occupazione femminile fu da allora e per lungo tempo il più alto d’Italia.
In sala è presente, applauditissima, Adriana Lodi, assessore alla scuola in quegli anni, che nel film rievoca il viaggio a Stoccolma per andare a conoscere come funzionavano gli asili nel nord-Europa. Mi ritorna in mente, lo slogan di vent’anni dopo, quando, nel 1975, la sinistra vinse per la prima volta nella sua storia le elezioni amministrative a Napoli: “Si fa come a Bologna, un’aula al giorno, una scuola al mese, dodici scuole all’anno”, per colmare il grave deficit di scuole pubbliche della terza città d’Italia.
La serata prosegue con Ivano Marescotti che recita aforismi e poesie sul tema della scuola, in particolare rievocando alcuni passi di Piero Calamandrei che preconizzavano, già sul finire degli anni Cinquanta, il rischio per la democrazia della svalutazione della funzione della scuola pubblica. Negli interventi che si susseguono sono chiaramente percepibili la preoccupazione e lo scontento, per non dire la rabbia, verso l’arretramento culturale e politico sul fronte di principi e valori che sono alla base della democrazia e della crescita civile che si è prodotto nella classe politica al governo delle istituzioni, di si percepiscono chiaramente negli interventi.
Soprattutto in quello conclusivo di Maurizio Landini, dove il segretario generale della Fiom – reduce da un altro importante appuntamento della mattina a Bologna dove la Fiom ha radunato, oltre al suo vasto mondo, economisti, giuristi, esponenti politici e rappresentanti di movimenti sociali per discutere di lavoro e welfare – non usa mezzi termini per denunciare che sono a rischio diritti fondamentali per i cittadini: il diritto al lavoro, quello alla salute ed appunto il diritto all’istruzione libera e gratuita quale presupposto del diritto alla conoscenza, e sottolinea che le ragioni per cui questi diritti sono in discussione vanno connesse alle conseguenze della globalizzazione capitalistica e al pensiero liberista che punta tutto sulla compressione dei diritti sociali per garantire un profitto più elevato alla rendita del capitale, soprattutto finanziario.
Purtroppo soltanto una parte della Cgil – oltre alla Fiom anche la Flc, per la quale è intervenuta la segretaria generale Giovanna Fracassi, ha esplicitato il suo impegno – ha compreso la portata generale di questa battaglia per la scuola pubblica: Landini impegna anche i quadri della Fiom, nell’ambito delle proprie iniziative, a garantire il sostegno al referendum per sensibilizzare i lavoratori e i cittadini a votare.
Il fatto stesso che il Comune ha fissato un numero di seggi insufficiente a consentire il pieno esercizio del voto, dice quanto è profondo il solco che separa le forze della sinistra su questo evento in cui si gioca non poco degli indirizzi complessivi di amministrazione della città e non solo. Ci si confronta su due opzioni di politica economica non solo molto diverse ma contrapposte: se la crisi debba essere affrontata con la riappropriazione da parte dello Stato, in tutte le sue articolazioni, della gestione diretta e comunque della funzione di orientare e decidere in materia d’istruzione e degli altri servizi fondamentali per il cittadino (come fu il caso dell’acqua nei referendum del 2011); oppure se la linea dei diritti vada abbassata alle opportunità, ovvero si riduce lo spazio pubblico a favore di un concetto di “mercato dei servizi” dove il pubblico, tuttalpiù, copre spazi marginali nell’area della sussistenza a danno della qualità che, se rimane, sarà per chi se la potrà comprare.
Scelte di questo tipo vengono fatte passare sotto l’esigenza del risparmio, occultando – nell’economicismo diventato senso comune – il momento tutto politico della scelta delle priorità, su cui l’ultima parola spetta ai cittadini. Perciò in questo mese di maggio ci sono almeno due appuntamenti fondamentali: la grande manifestazione del 18 maggio a piazza San Giovanni a Roma, dove la Fiom lancerà la sua piattaforma economica e rivendicativa con l’obiettivo di incidere sulle politiche generali del Paese, e il 26 maggio nel referendum consultivo di Bologna sul finanziamento alle scuole materne private-parificate dove, attraverso la porzione di welfare in discussione, la posta è il tema complessivo dei diritti sociali e di cittadinanza, e pertanto l’espressione del voto determinante.