di Rudi Ghedini
Le elezioni italiane si giocano su un punto, semplice, essenziale, impossibile da evitare: se ci sia o no un’alternativa all’Agenda Monti, intesa come una risposta plausibile per rispettare gli impegni presi dall’Italia nei confronti dell’Europa.
Sappiamo che si tratta di impegni pesantissimi e che, per rispettarli, occorre tagliare la spesa pubblica in un’infinita spending review, liberalizzare l’economia, riformare il lavoro, sburocratizzare lo Stato. E sperare che la “ripresa” avvenga e l’Italia sia in grado di agganciarsi.
I tredici mesi del governo tecnico non hanno mutato di una virgola il quadro delle compatibilità rese esplicite nella famosa lettera di Draghi e Trichet (5 agosto 2011), che fece da preludio alla brusca deposizione di Berlusconi, considerato inadeguato a garantire l’esecuzione di quegli ordini.
Anzi, i tredici mesi del governo tecnico hanno prodotto riforme brutali, facendo pagare il conto della crisi ai soliti noti, senza produrre alcuna riforma della politica (legge elettorale, numero dei parlamentari, senso del bicameralismo, sorte delle Province, eccetera), per cui la nuova classe dirigente parte impiombata da un crollo di credibilità, che non mancherà di produrre conseguenze.
Comunque, si vota sulla lettera di Draghi e Trichet, e si sceglie chi sarà incaricato di eseguirla. A qualcuno questa rappresentazione apparirà troppo schematica. È possibile che si possano rinegoziare gli impegni presi con l’Europa, ottenendo qualche margine per scelte espansive, a partite dal calo delle tasse sul lavoro e sulla produzione, e da qualche appalto pubblico in grado di rilanciare un po’ di domanda interna.
Ma è inutile fingere che ci siano un’Agenda Bersani o un’Agenda Ingroia o un’Agenda Grillo alternative all’Agenda Monti: qualcuno sa che farà l’opposizione, altri sono convinti di vincere, tutti giocano con le parole. In particolare, il Pd e Sel sanno che l’Agenda Monti non ha alternative, ma non possono dirlo alla loro gente, cercano voti e spargono illusioni.
Avete sentito Bersani dire dove intende tagliare la spesa pubblica? Come intende riformare il lavoro? Come si propone di sburocratizzare lo Stato? Con quali risorse agirà sulle più evidenti distorsioni della riforma delle pensioni? Giusto parlare di “equità” da garantire nella crescita, e di lavoro qualificato e stabile, e di sviluppo ambientalmente sostenibile. Diventano parole vuote, se non si indicano con precisione i tagli alla spesa, unica via per liberare risorse e offrire allo Stato qualche occasione di investimento.
Aggiungo che quando si parla di vendere un po’ del patrimonio pubblico, si dovrebbe anche spiegare a chi. Gli unici soggetti italiani con la liquidità necessaria sono le mafie e le associazioni a delinquere. Attirare investitori stranieri è un altro mantra privo di sostanza, visto che nessuno ha voglia di rischiare i suoi soldi in un Paese con i processi più lunghi del mondo.
Dunque, non si voterà sulla sostanza, ma sulla adesione a promesse impraticabili. La realtà tornerà a bussare il 25 febbraio. E la sinistra, persa anche questa occasione, dovrà ricominciare da zero.