La storia della persecuzione antiebraica attuata dal fascismo tra il 1938 e il 1945 è nota, ma raramente ci si è soffermati a riflettere su cosa abbiano significato quei tragici anni per i bambini italiani. Soprattutto per quelli ebrei, allontanati da scuola, testimoni impotenti della progressiva emarginazione sociale e lavorativa dei genitori, quando non della distruzione e dell’eliminazione fisica della propria famiglia.
Da questa prospettiva – peculiare, e tuttavia indispensabile per comprendere l’essenza di una persecuzione razziale, fondata sulla nascita – la storia che abbiamo alle spalle assume nuovi significati e stratificazioni.
Il regime fascista iniziò ad attuare la discriminazione proprio dal mondo della scuola: e i bambini ebrei – prima separati, poi esclusi, espulsi e infine internati – furono vittime tra le vittime. Una parte di essi fu deportata; molti riuscirono a nascondersi e a fuggire.
Bruno Maida, con La Shoah dei bambini – La persecuzione dell’infanzia ebraica in Italia (1938-1945) ne ripercorre la storia attraverso i progressivi livelli della persecuzione, attento a cogliere non solo lo sguardo che l’infanzia ebbe di fronte al turbinio dei fatti, ma la portata politica di una ferita impossibile da comprendere e molto difficile da sanare.
In bilico tra due registri, narrativo e storiografico, il libro si colloca nel filone d’indagine che vede crescere a livello internazionale l’interesse verso la storia dell’infanzia nel Novecento.
Questo articolo è stato pubblicato sul sito dell’Anpi