Gli spettri del Ventennio e gli "omaggi" di oggi: se Affile si libera

16 Novembre 2012 /

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Foto di Sebastia' Giraltdi Daniele Barbieri
«Come si dice vendetta in cinese? Si dice: racconta la storia a 5 famiglie. Ecco, il nostro lavoro di memoria è questo».
(Sandro Portelli)
Sabato pomeriggio arriviamo ad Affile per manifestare contro il “sacrario” (meglio chiamarlo schifezzario) dedicato a Graziani e sbagliamo bar. Entriamo da «Gatto» e dopo un piacevole ma ingannevole ritratto di Frank Zappa vediamo quadretti con molte frasi di Benito Mussolini fra cui la celebre «Vincere. E vinceremo» (si è visto infatti che vittoria). Aspettando il pullman dell’Anpi da Roma e il corteo, lascio i miei due compagni e giro il paese. Davvero bellina la parte vecchia, più banale (ma neanche tremenda) quella nuova. Ma un posto del genere ha bisogno di diventare “una nuova Predappio” – così si sussurra – per richiamare i turisti?
Ecco un po’ di gente che sfila per le strade. Mi avvicino ma è un funerale. Per il corteo c’è tempo. Così vado a vedere la mostra sui criminali di guerra italiani: ben fatta (il curatore è Davide Conti) e aggiornata (in un pannello c’è anche il bel dossier di Wu Ming 1; lo trovate anche qui Perché parlare ancora di un boia) ma forse non è esposta tutta: molto sui Balcani, mancano i crimini in Africa. Fra l’altro leggo in un pannello che il 13 luglio 1920 a Trieste i fascisti italiani bruciano il centro culturale Narodni Dom, colpevole di essere frequentato da sloveni; il giorno dopo il quotidiano «Il piccolo» commenta così: «Le fiamme purificano finalmente Trieste, purificano l’anima di tutti i noi». Giornalismo misurato, obiettivo, etico.
Intanto arriva il pullman dell’Anpi, gente dai paesi vicini, 2-3 macchine da Roma: c’è anche una rappresentanza della comunità etiopica. E gli affilani? Volete prima la cattiva (anzi pessima) notizia o quella buona (eccellente direi)? La cattiva è che metà paese circa sta col sindaco (ma l’impressione è che fra queste persone tante non sappiano chi davvero fosse Graziani), quella ottima è che l’altra metà – e tanti giovani – non è d’accordo a dedicare monumenti (molto costosi oltretutto) a un assassino.

Si parte. Dietro gli striscioni dell’Anpi ce n’è uno “casareccio” (cioè fatto a mano) efficace, rivolto appunto ai disinformati e/o stupidi: «980 kilometri dividono le vostre corde vocali dal vostro cervello» e sotto «ma un po’ di vergogna noooo?» per finire con «Bella ciao». E appunto «Bella ciao» è la colonna sonora del corteo. In 300 circa, di tutte le età, sfiliamo per Affile (molti palazzi vuoti, evidentemente “seconde case” estive) fra applausi e qualche muso lungo, anche due fischi da coraggiosi…. ben celati s’intende dietro le divise blu e nere che ci “scortano”. Abbiamo fiaccole anche per farci vedere ma, verso la fine, utili per le persone più freddolose o vestite leggere. E fa quasi freddo quando inizia il dibattito: efficace, partecipato e per nulla rituale.
Introducono Matteo Lollobrigida (giovane e molto bravo) del vivacissimo Comitato Affile antifascista e poi Vito Francesco Polcaro dell’Anpi.
Poi una bella relazione di Alessandro Volterra, storico di mestiere, il quale, in un intervento giustamente drammatico, riesce a far sorridere tutte/i quando sventola un malloppo e dice: «qui ho 150 cartelle di documenti su Graziani ma non le leggerò tutte, le lascio invece al Comitato in modo da poter rispondere in modo documentato a ogni obiezione». Chi passa da questo blog sa già chi è Graziani ma Volterra aggiunge altri dati. Fra l’altro – spiega – non fu neanche un abile soldato. Prescindiamo per un attimo (anche se non è giusto) dai suoi crimini e giudichiamolo come militare: in Africa fatica a venire a capo della resistenza nonostante i massacri e anche durante la seconda guerra mondiale viene sostituito. Sanguinario ma anche «un burocrate megalomane: mandava a Roma un telegramma per ogni impiccagione».
Ricordiamoci che il “reticolato Graziani” (fra Cirenaica ed Egitto), i rastrellamenti, le marce forzate, la repressione provocano un’ecatombe: in quella parte di Libia ci lasciano la pelle 70 mila persone di certo, forse il doppio – non si hanno dati attendibili, ribadisce Volterra – e sicuramente ogni colonialismo fu feroce ma gli italiani possono vantare tristissimi primati.
«Mio nonno fu uno degli interpreti di Graziani» – è Igiaba Scego, scrittrice e giornalista di origini somale, a parlare – «e mio padre mi raccontò che lui, essendo piccolo, non capiva chi fosse quel tipo ma sapeva che il nonno aveva il viso stravolto quando traduceva». Passa all’oggi Scego: «avete presente quel giochino, tipo Settimana enigmistica, dove devi unire i puntini per capire cosa esce fuori? Ecco c’è un puntino ad Affile, un altro a Cremona dove volevano resuscitare un enorme fascio littorio, un altro a Roma dove oggi è stata autorizzata una manifestazione di neofascisti in piazza Risorgimento, poi c’è un sindaco con la croce celtica al collo… se li uniamo tutti cosa esce? Ditelo voi.
Un puntino tragico è a Firenze dove, a dicembre dell’anno scorso, Gianluca Casseri – fascista di Casa Pound – ha ucciso a freddo due senegalesi. Tra i feriti, dei quali pochi si ricordano, c’è Moustafà: rimarrà paralizzato (la pallottola gli ha lesionato il midollo) per sempre; solo da poco può ingoiare un po’ di cibo, finora è stato alimentato per flebo». Si commuove Igiaba Scego nel ricordare altri immigrati in Italia vittime di fascismo e ignoranza: Jerry Masslo, “Abba” a Milano, la strage a Castelvolturno e un ragazzo somalo bruciato, tanti anni fa, «per gioco» a piazza Navona (non ci fu neppure un’inchiesta approfondita) e altre vittime recenti, talvolta dimenticate. «E’ anche colpa di programmi scolastici che ci vogliono ignoranti della storia» sottolinea e conclude: «Oggi siamo tanti ma ancora pochi. Dobbiamo essere di più. E la politica purtroppo resta assente. Sul sacrario a Graziani sia Monti che Napolitano tacciono, in Germania sarebbe inammissibile, lì la memoria viene presa sul serio».
Tocca a Sandro Portelli. Mi hanno detto – esordisce – che se chiedi a un cinese come si dice vendetta ti risponde: «racconta la verità a 5 famiglie». Ecco il nostro lavoro di memoria è questo. Raccontiamo chi era Graziani, cos’era il fascismo. Facciamolo anche in modo allegro quando si può (la volta prossima saremo qui con la nostra banda musicale) ma dobbiamo farlo. Quante bugie, anche oggi, nei libri di storia: si dice che in Etiopia abbiamo trovato gente selvaggia ignorando che lì c’era una civiltà millenaria come la nostra; si tace che il primo bombardamento aereo della storia – triste record – è roba “nostra”, di un italiano in Africa, giusto 100 anni fa. Portelli incalza: «La memoria deve rompere il quadro idilliaco, se stiamo zitti diventiamo complici. E il fascismo fu viltà, violenza, pregiudizio ma anche inerzia, adagiarsi al senso comune dell’epoca senza usare la testa». Come sottolinea Portelli si discute spesso di cosa andrebbe ricordato nella Costituzione europea: «io metterei i massacri del colonialismo, a esempio Debra Libanos». Oggi come allora non si può restare a guardare: «dobbiamo decidere da che parte stare, questo fu la Resistenza, questo ci dice la Costituzione».
A chiudere gli interventi (Jean Leonard Touadi era al corteo ma poi ha dovuto andar via) è Ernesto Nassi dell’Anpi. «Affile è cambiata, oggi c’era gente dalle finestre che ci diceva “grazie” o ci fermava per sapere la vera storia di Graziani. Purtroppo cresciamo con il mito fasullo degli italiani “brava gente” e ben pochi sanno che l’esercito italiano, neanche i fascisti ma proprio i soldati, mozzava le teste ai partigiani sloveni. Non è solo la storia di 60-70 anni fa ma anche il passato recente: come Anpi abbiamo lanciato una petizione per togliere il segreto sulle stragi in Italia degli anni ’60-80, possibile che nessuno ci risponda?». Nassi chiude con una (giusta) stoccata ai media: «continuano a tacere sul pericolo neofascista, anzi spesso strizzano l’occhio».
Poi una serie di interventi (vivaci e propositivi) dal pubblico. Io chiedo che, fra le tante cose da fare, si pensi a una primavera-estate di cultura: «Portiamo ad Affile l’Italia migliore: chiediamo ad Ascanio Celestini, a Marco Paolini, ai Tetes de bois ma anche a testimoni della memoria, ad artisti, a musicisti (non importa che siano famosi) di venire qui per rispondere con la cultura e la verità all’ignoranza e alle bugie di chi oltraggia la gente di Affile dedicando un monumento a un boia».
Questo post è stato pubblicato sul blog di Daniele Barbieri

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