di Angelo Mastrandrea e Norma Rangeri
Care lettrici e lettori, sostenitori, simpatizzanti e militanti del manifesto, il purgatorio della liquidazione coatta amministrativa è agli sgoccioli. Entro la fine dell’anno il manifesto sarà messo in vendita. Sta a noi e a voi – a tutti noi e a tutti voi – decidere se a questo purgatorio lungo nove mesi dovrà seguire l’inferno o il paradiso.
Da febbraio a oggi, come sapete, abbiamo vissuto in condizioni di fragilità economica, finanziaria e politica molto serie. Tuttavia, mentre attorno a noi, più che legittimamente, concorrenti agguerriti scommettevano sulla nostra fine, corteggiando lettori e collaboratori, siamo arrivati fin qui orgogliosi di tutto quello che abbiamo fatto in oltre 41 anni di storia.
Ora abbiamo un debito e un dovere verso voi che ci leggete, ci criticate e ci sostenete da così tanto tempo. Abbiamo un debito, anche, con i ministeri dello Sviluppo e del Lavoro, con il sottosegretario all’Editoria, il parlamento e il governo. Per aver riconosciuto sempre, in ogni sede, l’importanza della nostra, storica, testata. Così come siamo in debito con tutti i soggetti istituzionali, i sindacati nazionali e regionali, Mediacoop e i nostri tre commissari che ci hanno “controllato” in questi mesi. Tutti ci hanno aiutato a trovare le migliori soluzioni possibili per garantire l’uscita del giornale e la salvaguardia della sua storia, della professionalità di chi ci lavora.
Adesso siamo arrivati al dunque. Attraversato il guado della «liquidazione coatta», sta davanti a noi la scelta finale: come ne usciremo quando i commissari liquidatori metteranno in vendita la testata? Come faremo a restare un quotidiano comunista libertario e autonomo?
Intanto non dimenticando, nemmeno per un minuto, ed è stata la forza che ci ha fatto arrivare fin qui, quel che siamo, «una tradizione da non perdere, una redazione rodata da decenni» come ha scritto Rossana Rossanda su queste pagine a proposito delle ragioni della nostra crisi. La tradizione e la redazione che abbiamo cercato di tenere unite, giorno dopo giorno, sulla base dell’analisi della fase politica che Rossana ha svolto nel suo articolo. Alimentandola, nei tempi e nelle forme proprie del quotidiano, riuscendo solo in due occasioni (il convegno sulle primavere arabe e il dibattito sulla “rotta d’Europa”) a organizzare momenti esterni di confronto politico.
Di quell’analisi di Rossana vogliamo riprendere soprattutto due elementi. Il primo dove sottolinea un aspetto significativo della vicenda nazionale: «L’Italia è il solo paese che ha rinunciato a una fisionomia propria e articolata, seguendo i dettami liberisti dell’Unione Europea, fatti propri fuggendo a ogni consultazione popolare». Perché queste considerazioni forse possono aiutare a capire la difficoltà di definire, fuori da sterili riduzioni ideologiche, «che cos’è il manifesto», ancora prima di chiarire «di chi è».
Che cos’è un giornale comunista e libertario nella fase terminale del sistema dei partiti, in un paese sfigurato, «senza una fisionomia propria», con un sistema industriale in disfacimento (Ilva, Fiat), un’economia divorata dall’«ingigantirsi della finanza e della deindustrializzazione». Un paese dove, mentre nella palestra delle idee si scontrano keynesiani e monetaristi, dilaga una corruzione tra le più devastanti del mondo, capace di fare un doppio danno. Non solo una tassa occulta in tempo di depressione economica, ma anche la miccia per tutte le voci del populismo antieuropeo e dell’antipolitica.
Il secondo elemento è dove Rossana si riferisce alla crisi della sinistra di cui noi siamo lo specchio. Una crisi storica da cui origina una difficoltà vera, oggettiva, di “linea politica”, che, quand’anche ritrovassimo nelle radici del manifesto, andrebbe poi sviluppata, adeguata, declinata, “incartata” nelle nostre pagine quotidiane, sapendo che non esistono scorciatoie, né riduzioni salvifiche della molteplicità dei soggetti che auspicano il cambiamento e vorrebbero interpretarlo (lo sforzo e il ruolo svolto dalla Fiom in questi anni di crisi strutturale sta a dimostrare la ricerca di allargare il campo operaio ad altre figure sociali). Una difficoltà – questa dell’identità – già sperimentata dal gruppo dei fondatori con la vita difficile della Rivista a cavallo tra gli anni ’90 e 2000.
Tuttavia la ricerca costante di senso e l’urgenza di un approdo che ci allontani dalla barbarie e ci avvicini al socialismo oggi è forte in noi come quarant’anni fa. E forse, nonostante il disfacimento dei partiti e lo spappolamento della società e della forza lavoro, quel pensiero ha scavato, si è diffuso e sedimentato più di quel che immaginiamo. Lo dimostra la qualità dei movimenti contemporanei, pur con tutti i nodi da sciogliere, come il nostro dibattito sul caso Ilva (con gli interventi di Asor Rosa, Viale, Rossanda e altri) ha dimostrato discutendo di questioni cruciali per la sinistra di domani (movimento operaio e questione ambientale).
Noi vogliamo continuare questa ricerca e questo impegno.
Se il manifesto quotidiano avrà un futuro, che sia all’altezza del suo passato, dunque senza ridursi a periodico di riflessione teorica, per mantenere aperta, invece, la forma originale della politica: il quotidiano. Ora dobbiamo decidere come fondare una nuova cooperativa, con una drammatica riduzione dei dipendenti, condizione necessaria per costruire un’impresa sana, a questo livello di vendite e di fatturato pubblicitario. Una nuova cooperativa, composta dai soci fondatori e da chi si è unito lungo la strada, replicando così il rinnovamento continuo che ha caratterizzato le fasi della lunga vita del giornale fin dagli inizi, quando il gruppo radiato dal Pci fece il manifesto incontrando la generazione del ’68.
Un gruppo forte di un piano editoriale (il quotidiano che abbiamo e che vogliamo migliorare e il sito che deve essere potenziato, in una nuova, reciproca, relazione) per rilanciare non solo il “soggetto” manifesto, ma soprattutto la sua impresa comune. Una piattaforma di carta e digitale con l’immutata aspirazione di rappresentare un punto di vista, un riferimento intellettuale, politico, di movimento. E, subito attorno a questo nucleo operativo e fondativo, costruire un secondo cerchio dei lettori sostenitori, attraverso la creazione di una “Associazione dei lettori” nelle forme più efficaci (i circoli hanno già convocato un incontro).
Il manifesto è non solo di chi lo fa ogni giorno, in condizioni di lavoro volontario, e dei suoi fondatori, ma anche di chi lo sostiene, è di quelle migliaia di lettori che quotidianamente vanno in edicola per acquistarlo. Nessuna di queste componenti può scegliere da sola la direzione di marcia, tutte insieme possono assicurare al manifesto il futuro che merita. Sappiamo che il ministero dello Sviluppo (e quello del Lavoro per la parte importante degli ammortizzatori sociali) guarda con interesse questa ipotesi di nuova cooperativa. Davanti a noi sembrano quindi delinearsi le condizioni per un’uscita positiva dalla «liquidazione». E su questa strada il collettivo intende muovere tutti i passi necessari per raggiungere l’obiettivo.
Questo articolo è stato pubblicato sul Manifesto del 12 settembre 2012.