Viaggio tra Mirandola e Finale Emilia: detriti, paura e molti dubbi. L’impreparazione della macchina dei soccorsi, che già riapriva le strade, gli operai morti nei capannoni riaperti contro ogni prudenza, lo sciame sismico di cui nessuno sa nulla. Il bilancio, pesante, è di 16 morti e altri 8mila sfollati. Gli esperti: “Valutare evacuazione preventiva di alcune categorie di edifici”. Un reportage di Claudio Magliulo
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Mirandola è un guscio vuoto contornato di parabole dritte tutte in fila sui viali. E’ venuto anche Enrico Mentana a condurre in diretta il suo Tg, con dietro il campanile pericolante. Poco più distante Roberta Neri guarda sconsolata la sua casa, appena venti metri oltre le transenne: «Era un così bel paesino, Mirandola, chi sa se e quando riusciremo a ricostruirlo». Il vigile urbano che sorveglia l’accesso interviene nella conversazione: «A noi a scuola hanno insegnato che questa terra argillosa era al sicuro dai terremoti. Adesso abbiamo capito che è il contrario. Ma quand’è che potremo tornare alla normalità?».
La strada da Mirandola a Finale Emilia è punteggiata di vecchie case di campagna di cui resta in piedi a volte solo la facciata. Nei cortili, gli abitanti siedono sulle sedie da giardino di plastica bianca e guardano i ruderi.
Ha colpito molto, e in profondo, questa ennesima scarica sismica. Almeno tre scosse intorno ai 5 gradi della scala Richter, proprio quando già si pensava alla ricostruzione.
E’ il caso di Finale Emilia. Proprio questa mattina le autorità avevano iniziato a riaprire le strade principali del paese. Molti abitanti avevano già cominciato a riportare le proprie cose nelle case dichiarate agibili. Ma le due scosse di ieri mattina hanno preso tutti di sorpresa.
Certamente i lavoratori delle aziende nei dintorni. Non è un mistero che in molti casi non gli fosse lasciata scelta: nonostante la paura, bisognava tornare al lavoro. «A mia figlia – racconta una signora incontrata al campo sportivo di Finale Emilia– hanno detto: o torni al lavoro oggi o lo perdi». Alcuni di quei lavoratori coscritti sono morti ieri in capannoni mal costruiti, che non si è avuto il coraggio di dichiarare inagibili in via precauzionale. Le vittime accertate sono 16, di cui dieci lavoratori. Alla Meta di San Felice, alla Haemotronic di Medolla, alla Bbg di San Giacomo, dove è morto anche il titolare. Capannoni dichiarati agibili, stando alle prime ricostruzioni. Eppure.
Il sisma di oggi ha sorpreso anche gli operatori dei vigili del fuoco e della protezione civile sul campo. Eppure la diagnosi dei sismologi è stata chiara da subito: “sciame sismico”. Nel 1570 a Ferrara ne fu registrato uno uguale, che durò tre anni e alla fine lasciò semi-distrutta la città estense e i suoi dintorni.
Giovanni Manieri, ingegnere e membro del comitato tecnico scientifico intervenuto a Mirandola e in altri Comuni del Modenese, d’intesa con la Protezione Civile, subito dopo la prima scossa, spiega: «Si tratta indubbiamente di una grave crisi sismica con episodi di diversa intensità che si ripetono, non siamo peraltro in grado di poter prevedere quando finirà e quando potrebbe esserci un’altra scossa importante. Per quello che abbiamo potuto verificare, senza avere il tempo per i necessari approfondimenti, i crolli in diversi capannoni si sono verificati soprattutto per mancanza o, comunque, per insufficiente collegamento tra le diverse parti delle strutture, che non sono riuscite a comportarsi durante il sisma come aggregati strutturali unitari».
Ora la domanda che si fanno gli abitanti della zona, angosciati, è quando finirà.
«Il peggio è la paura – racconta Angelo, pasticciere- Ho fatto fatica a tornare a prendere gli occhiali che nella fretta avevo lasciato sul tavolo. Eravamo quasi tornati alla normalità». Angelo, che adesso vive in una roulotte assegnatagli da una onlus, è preoccupato per il futuro: «Ho tre dipendenti, ma se continua così non so come farò a pagarli. E così fanno quattro famiglie rovinate».
La maggior parte degli abitanti di Finale Emilia saltano da una casa di parenti o amici all’altra, o dormono in macchina. Nelle tende al campo sportivo si sono rifugiati prevalentemente famiglie di migranti della zona e non solo. «La cosa terribile – spiega Mauro con un mezzo sorriso – è che sto finendo i parenti e gli amici. Dovrei farmene degli altri, perché ormai hanno smesso di chiamarmi per offrire ospitalità».
Il centro di Finale resta completamente inaccessibile. Della rocca estense restano pochi ruderi, che hanno seppellito anche tutte le rondini sopravvissute al primo crollo, la settimana scorsa.
Anche gli animali hanno sofferto le scosse a ripetizione. Nelle aziende agricole del modenese nei crolli sono morti 50 maiali e altri 450 sono stati macellati prima del tempo. Le mucche, stressate, producono meno latte.
A San Felice sul Panaro prevale un misto di rabbia e sollievo. A pochi chilometri dal centro era infatti prevista da tempo la costruzione di un enorme impianto di stoccaggio sotterraneo, in grado di immagazzinare 3,2 miliardi di metri cubi di gas ad alta pressione, in un bacino roccioso a quasi tre chilometri di profondità. Il gas sarebbe stato pompato ad alta pressione in una cavità rocciosa naturale, spingendo l’acqua presente nel bacino. L’opposizione dell’agguerrito comitato locale e i niet di Provincia e Comune hanno però rallentato, se non bloccato, l’operazione della Erg Rivara Storage: capitali italo-britannici per un progetto costruito sulla convinzione che l’Emilia-Romagna non fosse zona sismica. In realtà già da prima che la Independent Resources proponesse il suo progetto, promettendo risorse e posti di lavoro, l’Istituto di Geofisica e Vulcanologia aveva modificato il livello di sismicità della regione, accogliendo (in parte) una proposta di modifica della mappa sismica italiana nel cassetto da dieci anni.
«Pensa a cosa poteva succedere se in quel bacino ci fosse già stato il gas- si arrabbia Alvise Abbottoni del comitato NoGas- Adesso devono impedire anche le prospezioni esplorative, perché è chiaro come il sole che questa è una zona altamente sismica». Paolo Rebecchi, medico, è categorico: «Noi non ci possiamo permettere un impianto del genere, nemmeno l’odore. E faremo di tutto per evitare che qualcuno si avvicini con una sola trivella. Ora ci interessa solo ricostruire».
L’impressione, avanzando a fatica nella campagna modenese, tra deviazioni improvvise e ulteriori scosse, così numerose che è ormai impossibile definirle “di assestamento”, è che bisognerà attrezzarsi per il lungo periodo. Non solo lo sciame sismico continua e nessun esperto si azzarda a fare previsioni su quando possa finire; ci sono anche le case crollate, lesionate, i centri storici feriti. Lavoro di ricognizione e ricostruzione che impegnerà molto tempo e molte risorse.
«Quello che serve adesso – spiega Manieri- è una ricognizione dei crolli e degli ulteriori potenziali pericoli immediati di crollo e procedere, dove e se possibile, alla messa in sicurezza delle costruzioni. Inoltre è necessario individuare quali tipi di strutture stanno reagendo peggio alle sollecitazioni e valutarne, quando è il caso, l’evacuazione preventiva».
Claudio Magliulo