Sgombriamo il campo da equivoci. Questo non è un requiem per Il Manifesto, né un ultimo canto del cigno. Non ci siamo riuniti come vecchi amici al capezzale di un moribondo, con la lagrimuccia che scende e tanti ricordi che passano davanti agli occhi, per poi ripiegare ordinatamente le nostre parole e tornarcene a casa. Dentro gli sforzi che i Circoli del Manifesto in tutta Italia, e segnatamente quelli di Bologna e di questa regione, stanno facendo per tenere in vita Il Manifesto non c’è nostalgia ma fame di futuro.
Pensiamo di avere piuttosto chiara la situazione presente. La crisi del debito è solo l’ultimo atto della tragedia che questo capitalismo anarcoide e irresponsabile sta rappresentando da decenni, un movimento di espropriazione della vita in ogni possibile campo. Ci toglie il pane e ci toglie il respiro per pensare un briciolo più in là dell’immediato presente.
Proprio per questo pensiamo che ci sia più bisogno che mai di un giornale eretico, non scontato, capace di curiosità e apertura verso il mondo e insieme di analisi rigorosa e illuminante. Il Manifesto è e può essere questo giornale. Non ci sfugge l’appannamento degli ultimi anni, la tendenza a rincorrere i movimenti tellurici della società piuttosto che a farne parte e a stimolarli. Un misto di ristrettezze economiche e astigmatismo politico hanno impoverito nel tempo il giornale, fino al colpo di grazia del taglio bruto al Fondo per l’editoria con conseguente procedura di liquidazione, commissariamento, fax/ultimatum. Tuttavia crediamo che solo il Manifesto, in questo momento, abbia le carte in regola per reinventarsi come progetto politico ed editoriale autenticamente comunista. Un comunismo dei beni comuni, del 21° secolo, non certo il comunismo sclerotizzato in polemica con il quale Rossanda, Parlato, Castellina e tutti gli altri sono fuoriusciti dal vecchio Pci, già 40 anni fa.
Questo progetto che nasce oggi, con modestia ma tante idee e voglia di fare, ha l’ambizione di diventare una buona pratica da replicare in ogni regione e grande città d’Italia. Vogliamo non solo salvare il Manifesto, ma contribuire a trasformarlo, a raggiungere tutti quelli che ad ora lo hanno abbandonato o che non lo trovano abbastanza utile o completo. La nostra è una persistente, testarda vitalità.
Parleremo a Bologna (e col tempo a tutta la regione), raccontando le tante crisi che si intrecciano anche su questo territorio e che richiamano eventi identici in ogni città d’Europa. Non solo delle fabbriche che chiudono, ma anche di come ripensare questo modello di sviluppo; del cemento che si mangia i campi e delle case che restano vuote; dell’energia piccola e utile contrapposta ai Grandi Progetti utili solo a chi li costruisce; della cittadinanza che non c’è; dei servizi sociali che scompaiono uno alla volta come i Dieci piccoli indiani di Agatha Christie.
Siamo una scommessa impastata con determinazione, un po’ di competenza e tanta curiosità. La nostra nave imbarca ancora marinai: giovani giornalisti in erba, grafici, vignettisti e web-designer, le porte sono aperte. Vogliamo essere un cuore pulsante che pompa vita nelle arterie esauste della società bolognese. Cominciamo un battito alla volta, come maratoneti. Cominciamo oggi.